“Latina città senza mura” è il titolo del mio dossier

“Latina città senza mura” è il titolo del mio dossier

10 Ottobre 2023 0 Di Maria Corsetti

Latina città senza mura” lo ha già detto qualcuno, non è una mia idea originale. La uso come simbolo di tutto quello che c’è e che c’è stato per poi dissolversi in questa grande pianura e finire tra le onde del mare.

 

Va in scena la contro candidatura a Latina Capitale della Cultura. Sarebbe stata un’idea, che tutto sommato, considerando l’attuale candidatura una prova generale per capire come si fa, si potrebbe utilizzare per quella in cui ci crederanno tutti davvero.

Domenica ho visto materializzarsi davanti a me un dossier vincente, inoppugnabile, generoso, giusto e insospettabile fuori delle mura cittadine, che non ci sono e da qui potrebbe iniziare la narrazione. “Latina città senza mura” lo ha già detto qualcuno, non è una mia idea originale. La uso come simbolo di tutto quello che c’è e che c’è stato per poi dissolversi in questa grande pianura e finire tra le onde del mare.

La location di domenica 8 ottobre: il Museo Mug che Luigi Giannini ha allestito nello spazio dismesso della Tipografia Ferrazza. Da tipografia a museo, più narrazione di così. Sempre Giannini, che è un privato a cui piacciono le cose belle, presenta una mostra di Valentin Timofte, il pittore rumeno, fuggito dalla tirannia di Ceausescu per approdare a Latina, dove ha vissuto fino al 2005, quando un male se lo è portato via. Di Valentin, di cui orgogliosamente ho un ritratto che mi fece nel 1994, temevo che si fosse persa la memoria in questa città dove le idee non rimangono aggrappate alle strade. Invece in questa domenica di ottobre – caldo d’estate e la luce dorata d’autunno – i colori di Valentin tornano nei suoi tratti decisi e sognanti, in una rappresentazione di Cristo sulla croce dalla spiritualità che va oltre ogni credo. Valentin e l’arte che arrivava da oriente, l’accademico fuggito, i mecenati di Latina che lo hanno ospitato, gli hanno commissionato lavori, gli hanno permesso di vivere come voleva.

Dopo l’inaugurazione della mostra, il tavolo dei relatori. Conduce Emanuela Gasbarroni. Emanuela nel 2017 ha realizzato un documentario – Fuga dalla libertà – sul Campo profughi di Latina. Una storia che è durata trentaquattro anni, il che in una città che di anni non ne ha neanche cento, un significato dovrebbe avercelo. Quelle pareti oggi ospitano l’Università e questo va bene, ma c’è una storia che riguarda circa 80mila persone che transitarono tra quelle mura. E qui mi smentisco, le mura a Latina ci sono state, quelle tra Viale XXIV maggio e Via Ezio erano il nostro Muro di Berlino. Emanuela Gasbarroni ha anche realizzato un libro con le sue ricerche L’Italia e la guerra fredda. Esuli dall’Est, una storia di fughe e accoglienza nel Campo profughi di Latina. Legge Nino Bernardini. Commenta Massimo Pompeo. E si alza il sipario su altre storie ancora.

Ma io dico: il dossier è già scritto. Mettici la migrazione durante la bonifica, anzi, prima ancora quella stagionale della transumanza. Mettici la migrazione dovuta alla Cassa del Mezzogiorno e, già che ci sei, ti trovi bella pronta la mostra curata da Roberta Malossi sui pionieri della Centrale nucleare. Mettici la storia del campo profughi e ti trovi un documentario e un libro già fatto, oltre a chi ha sostenuto l’arte di un pittore venuto dall’est. E chissà quante altre storie ci sono. Personalmente ricordo Ireneo, pallavolista rumeno, che veniva ad allenarci. Poi andò in America.

Ma c’è un fatto singolare, che quando il mondo è cambiato, Latina è rimasta terra di immigrazione. L’agricoltura va avanti grazie a migliaia di indiani, migranti economici cotti dal sole, di cui si parla sempre e purtroppo in occasione di episodi di cronaca o di sfruttamento, soffocando del tutto la novità di questo nuovo volto di Latina. Che ospita anche rifugiati e richiedenti asilo. Anche qui cronaca e sfruttamento, ma quanto altro c’è di più. Prima che qualcuno se ne esca che vengono a toglierci il lavoro mi permetto solo di ricordare a quanti italiani danno lavoro: mediatori, insegnanti di lingua. E se, anche qui, le cooperative che gestiscono i migranti vanno a finire sui giornali solo per questioni di cronaca, mi permetto di ricordare che sono tante le realtà che lavorano bene, cercando di fare il loro meglio affinché queste persone, venute in Italia o per disperazione o inseguendo un sogno, possano scrivere pagine interessanti di presente e di futuro.

Mi taccio sull’apporto che a questo dossier potrebbero dare le colline che circondano Latina, nelle vesti di narratrici di un mondo che esiste solo qui.