
Antonio Pennacchi e quei complimenti che mi tengo stretti stretti
15 Agosto 2021Ci sono persone che continuano a girare per Latina, anche se non ci sono più. Persone a cui ti senti legato, e che continui a vedere pure solo nell’immaginazione. Da un momento all’altro potrebbero apparire sotto i portici, e a pensarci bene, udire anche le loro voci inconfondibili, uniche, perché ognuno è irripetibile. Hanno lasciato la loro essenza che non si dissolverà, perché sono nella storia della nostra città. Antonio Pennacchi è uno di questi personaggi. Qualche giorno fa ha deciso di passare dall’altra parte in maniera dirompente, come solo lui sapeva fare, e ci ha stupiti per l’ultima volta. Ma non voglio raccontarvi la sua storia, che è stata ben descritta da molti giornalisti, io voglio raccontare solo le mie emozioni vissute grazie ad Antonio, che io chiamavo semplicemente Anto’. Poi un giorno chissà, mi piacerebbe scrivere la sua biografia.
Se qualcuno tra vent’anni, mi chiedesse dove fossi e cosa facessi quando è morto Antonio Pennacchi, risponderei senza esitazioni: ero a casa al mare e stavo per scendere le scale per tornare a Latina. Mio cognato Antonio, da giù, mi dice che è morto Antonio Pennacchi. Stento a credergli, il cellulare sul lungomare non mi prende molto bene e per non spazientirmi, durante la giornata non controllo l’arrivo delle notizie. Al ritorno, in macchina c’è un silenzio quasi imbarazzante, poi mio figlio mi chiede: “Papà ma è quel signore che passava sempre davanti al negozio con il bastone?” Gli risponde mia figlia che è lui, aggiungendo che aveva sempre anche il cappello.
A casa di Antonio Pennacchi
È mezza mattina del 4 agosto quando decido di andare a rendere omaggio ad Antonio Pennacchi a casa sua, a Borgo Podgora, la sua posizione me l’ha data il suo più stretto collaboratore Massimiliano Lanzidei. Durante il tragitto cerco di ricordare quando l’ho conosciuto, niente non mi viene proprio in mente. Credo di averlo conosciuto da sempre o comunque da più di quarant’anni, quando lavorava alla Fulgorcavi con mio cognato Antonio Di Cicco che a quel tempo era calciatore e lavoratore della fabbrica. Da allora era diventato cliente nel negozio della mia famiglia.
L’ultimo acquisto lo aveva fatto poco prima della pandemia, un televisore per la sua abitazione di Latina. Glielo avevo consegnato personalmente insieme ad Antonio mio cognato. Per sdebitarsi della cortesia mi aveva regalato uno dei suoi libri, “Il delitto di Agora”, con tanto di dedica. Sapeva che volevo chiudere il negozio e mi aveva quasi implorato di non farlo.
Con i miei ricordi arrivo a casa Pennacchi, immersa nel silenzio della campagna pontina, a pochi metri dal confine con il comune di Cisterna. A dividere i due comuni il canale delle Acque Alte, ribattezzato così dopo la guerra. Quel canale tanto caro a Pennacchi che lui chiamava senza remore con il nome originario, Canale Mussolini.
Ne era così legato che aveva ispirato il suo romanzo capolavoro, Canale Mussolini appunto, che lo aveva portato a vincere il Premio Strega nel 2010. Nella sua camera ardente ci sono un paio di persone. Ora sono lì a guardarlo nella bara, nella sua tenuta con cappello, sciarpa, occhiali e il suo bastone, spero in una tasca anche le sigarette. Ho il magone a vederlo lì fermo immobile, lui che aveva una vitalità estrema. Mi viene da dirgli “Anto’ ma che cazzo hai combinato” lo immagino già a litigare con San Pietro, a reclamare i diritti di tutti i morti, lui che era stato sindacalista. Mentre sono lì e lo guardo arriva la moglie Ivana, sono in mascherina e non mi riconosce, allora l’abbasso un attimo e mi fa un sorriso. Le dico che l’ultimo saluto glielo dovevo e le spiego anche il perché, lei annuisce e mi dice che è vero.

Lo scrittore Antonio Pennacchi, mentre legge una bozza di un suo romanzo a un amico
Sulla strada del ritorno apprendo dalla radio che apriranno la camera ardente all’ex Opera Balilla, ora museo Cambellotti, e che il sindaco ha proclamato il lutto cittadino per il giorno dei funerali. Ma penso di aver fatto la cosa migliore andare a salutarlo nella casa dove ha vissuto e dove magari si è maggiormente ispirato peri i suoi romanzi. Nonostante la tristezza, quel luogo mi ha dato un senso di serenità, e mentre guido tornano i miei ricordi.
Antonio era solito passeggiare sotto i portici, passava davanti il mio negozio sempre allo stesso orario, verso le 19:30. Era l’orario della mia ultima pausa, prima di abbassare le serrande. Mi accendevo la sigaretta e da lontano lo vedevo arrivare. A volte mi salutava con un cenno, altre con un “Ciao Emi’ e altre ancora, si fermava per due chiacchiere. Quando mi salutava solo con un cenno, lo vedevo concentrato sui suoi pensieri, credo che riflettesse su ciò che avrebbe voluto scrivere. Invece se ci fermavamo a fare due chiacchiere, poteva capitare una contro vasca insieme, sul Corso, che terminava con un caffè al Bar Mimì, uno dei suoi bar preferiti.
Nel 2007 vidi un bellissimo film ispirato da un suo romanzo autobiografico “Il Fasciocomunista”, il primo pubblicato con la Mondatori, scritto nel 2001 anno in cui si riappacificò con i fasci di Latina, il sindaco Ajmone Finestra e Nando Cappelletti, suoi storici compagni di lotte quando militava nella destra, per poi abbracciare la parte opposta. Quando vinse il premio strega nel 2010 iniziai a chiamarlo “Maestro”, ma alla seconda volta mi disse:
“Emi’ non me chiama’ maestro, non so’ maestro”
“Va beh Anto’ non te ce chiamo più”
Era il 2012 quando lo incontrai e gli dissi che stavo scrivendo un libro su Francesco Porzi che a Latina tutti chiamavano Biscotto. Chiesi un suo parere e se lo avesse mai conosciuto:
“Certo che l’ho conosciuto era un po’ più grande di me, un ragazzo indimenticabile. Bravo Emilio, fai bene a scrivere di un personaggio di Latina che è stato molto amato dai giovani” Mi raccontò anche un aneddoto che riportai fedelmente sul mio libro, e quando nel 2016 lo pubblicai lo acquistò nella libreria Manzoni e mi chiese la dedica.
Ci incontrammo anche al di fuori dei portici. Nel 2017 mi chiamarono, in qualità di blogger, per delle riunioni organizzate nell’edificio storico che ospita la Casa dell’Architettura. Caspita, mi trovavo in mezzo a studiosi, letterati, archeologi, teatranti, storici, poeti, scrittori, professori, presidi e premi Strega. Mi sentii importante per la prima volta, per quella convocazione, qualcuno si stava accorgendo del mio lavoro. Ma durò quanto il battito d’ali di una farfalla. Litigarono e l’allegra compagnia si sciolse subito.

Io e Antonio Pennacchi sotto i portici di Corso della Repubblica
Abbiamo condotto insieme anche delle battaglie culturali. Quando abbiamo saputo che avevano in progetto di pavimentare una parte della ztl di Corso della Repubblica , ci opponemmo entrambi. Perché la pianta di Frezzotti non va snaturata e perché Latina è stata la prima città ad essere fondata con le strade d’asfalto. “Mettere i sanpietrini o qualsiasi altro materiale sul corso è come una bestemmia, e un falso storico”, questo era il nostro pensiero. A tal proposito mi disse:
“Emi’ se iniziano i lavori me incateno, e tu?
“Me incateno insieme a te, mica te lascio da solo”
Anche sulle tombe dei civili morti in guerra a Littoria eravamo d’accordo, lui ne aveva parlato sul suo “Canale Mussolini parte seconda” e io su un articolo. Andavano recuperate senza cambiare nulla, solo restaurate. Organizzammo anche una petizione e dal comune ci fecero sapere che se ne sarebbero occupati. Stiamo ancora aspettando, mentre le tombe continuano nel loro lento degradarsi.
I complimenti di Antonio Pennacchi
Era il 2017 quando scrissi il racconto sul delitto di Piazza Roma, un crimine accaduto nel 1971 nel centro di Latina, il libro si intitolava “Delitti e misteri i casi di Latina” il mio era uno dei dieci casi irrisolti. Dopo qualche giorno dalla pubblicazione Antonio passò come sempre davanti al mio negozio, mi salutò e poi voltandosi di scatto, brandendo il bastone, mi disse:
“Emì, te devo di ‘na cosa”
“E mo che ho combinato” Pensai ad alta voce.
“Te volevo fa’ i complimenti per la storia che hai scritto sul delitto di Piazza Roma, lo hai raccontato proprio bene, bravo!” Conoscendo Antonio, che di complimenti non era mai stato generoso con nessuno, risposi:
“Anto’ grazie, mi hai fatto emozionare” Mi fece il suo solito sorriso a mezza bocca e riprese la passeggiata.
L’ultima volta che ho visto Antonio sul corso, poco tempo fa, mi ha confessato:
“Emi’, senza il tuo negozio Corso della Repubblica non la riconosco più” Ho pianto.

La camera ardente di Antonio Pennacchi all’ex Opera Balilla, ora museo Cambellotti
Di Antonio Pennacchi hanno scritto che era burbero, litigioso, provocatore, permaloso, sicuramente nella dialettica non era uno che si lasciava intimorire, voleva far valere le proprie ragioni, anche urlando e agitando il suo bastone. Ma hanno pure scritto dei suoi grandi pregi, di quella penna leggera che ha fatto di lui uno dei romanzieri migliori di questo inizio secolo. Il suo merito? Quello di aver dato di nuovo luce alla nostra città, spenta forse volutamente dopo la guerra facendoci scontare il nostro peccato originale.
Ciao Anto’ e grazie per quei complimenti che mi tengo stretti stretti
La foto di copertina è stata scattata da me, mentre Pennacchi legge un suo scritto al Bar Friuli