Vincenzo Di Viccaro, da scariolante a venditore ambulante

Vincenzo Di Viccaro, da scariolante a venditore ambulante

18 Giugno 2023 0 Di Emilio Andreoli

Nella seconda metà degli anni venti, migliaia di lavoratori raggiunsero l’Agro Pontino per la bonifica integrale. Un’opera colossale per sconfiggere le paludi pontine che regnavano, da sempre, nelle nostre malsane terre. I primi ad arrivare furono gli scariolanti, ovvero quelli che con la propria pala e carriola spostavano la terra per la realizzazione dei canali di bonifica. La maggior parte di loro arrivarono dall’Emilia. Da quelle parti, la bonifica era terminata: per non rimanere disoccupati si spostarono nelle paludi pontine. Mi hanno sempre affascinato le immagini di quei lavoratori, grazie a loro siamo in queste terre sottratte alla palude. Ma non erano solo emiliani, arrivarono da tante altre parti, pure dai paesi vicini. Quasi per sbaglio, sono riuscito ad incappare nella storia di uno di quegli scariolanti: veniva da Castelforte e si chiamava Vincenzo Di Viccaro.

A Latina ci sono storie che ancora mi sorprendono, soprattutto quando pensi di conoscere il personaggio da raccontare. Credi di sapere tutto del suo vissuto, ma poi ti immergi nei racconti e scopri storie diverse da come le avevi sempre immaginate. Se nomini la famiglia Di Viccaro mi vengono subito in mente i mercati. In realtà non è proprio così: la storia di Vincenzo Di Viccaro è molto più articolata e l’ho scoperto solo qualche giorno fa, quando ho incontrato la figlia, e mia amica, Caterina Di Viccaro insieme a suo fratello Peppino.

Conosco la famiglia Di Viccaro da sempre. Con mio padre, da ragazzino, frequentavo il laboratorio del maestro Antonio Di Viccaro, suo grande amico. Un’amicizia profonda, durata finché mio papà non è venuto a mancare nel 2001. L’altro giorno mi è venuta l’idea di raccontare la storia del capostipite, Giuseppe. Ho contattato Caterina, che per anni è stata mia vicina di negozio, e ci siamo incontrati. Tra l’altro è una delle mie più appassionate lettrici. Nella sua libreria ci sono tutti i miei libri.

1929: gli scariolanti nell’Agro Pontino (Foto Consorzio di Bonifica)

La storia di Vincenzo Di Viccaro

Vincenzo Di Viccaro nasce il 14 settembre 1907 a Castelforte, ai confini tra Lazio e Campania. È il primo di quattro figli, dopo di lui Luigi, Antonietta ed Enrico. Altri fratellini moriranno appena nati. Proviene da una famiglia contadina. Purtroppo non può frequentare la scuola, perché in campagna occorrono braccia. Il nonno materno gli insegnerà a leggere e a scrivere. Vincenzo è così bravo che a sua volta lo insegnerà agli anziani del paese. Li aiuterà a scrivere lettere ai propri figli che combattono al fronte, nella prima guerra mondiale.

A diciotto anni parte per la leva, di stanza a La Spezia, nella Marina Militare. Tornerà dopo ventiquattro mesi. Verso la fine degli anni venti conosce Fortunata, una ragazza trovatella che ha avuto una vita difficile. Fortunata è solo di nome. Il suo tutore è partito per l’America e la moglie la maltratta in continuazione. Ma l’incontro con Vincenzo le cambierà la vita. Si sposeranno nel 1929 e insieme avranno sei figli: Domenico, Lucia, Antonio, Peppino, Caterina e Franco che nascerà a Latina.

Nello stesso anno viene assunto come guardia carceraria a Ventotene. Lì conoscerà anche Sandro Pertini imprigionato dai fascisti. Vincenzo, in quel penitenziario, durerà solo due mesi. Soffre nel vedere le persone carcerate e così decide di lasciare il posto di lavoro. Quando torna inizia a scendere dal suo paese per raggiungere l’Agro Pontino, dove sono iniziati i lavori di bonifica. Pala e carriola, sono i suoi strumenti di lavoro.

Si sta scavando per la realizzazione dei canali che serviranno a convogliare le acque piovane per sottrarre la terra alla palude. Il lavoro è durissimo. Dorme nei caseggiati attrezzati per gli operai. Torna a casa una volta la settimana. Ma la malaria è dietro l’angolo, può colpire chiunque. Pure Vincenzo si ammalerà. Fortunatamente ha una fibra forte e se la cava. Però non tornerà più a fare lo scariolante.

Costretto dalla fame, nel 1940 si arruola nell’esercito e parte per la Grecia, dove si combatte. La sua destinazione è Rodi. Per non finire in trincea si spaccia come cuoco. Accanto alla cucina da campo c’è un recinto. Un bambino greco lo guarda con occhi imploranti. Vincenzo inizierà a dargli qualcosa da mangiare ogni giorno. Grazie alla sua numerosa famiglia viene esonerato e torna in Italia, ma si dispiace per quel bambino a cui si è affezionato. Lo rivedrà cinquant’anni dopo, in uno dei tanti viaggi che potrà concedersi. A Rodi va in una casa e chiede informazioni a un signore, che lo guarda incredulo ed esclama “Vincenzino!”. Vincenzo lo abbraccerà come un figlio ritrovato.

Gli sfollati posano, dopo la guerra, al Palazzo M tra questi Vincenzo Di Viccaro

Ma la guerra incombe anche in Italia, e alla fine del 1942 è costretto a rifugiarsi con la famiglia nelle montagne vicino al paese. L’11 febbraio del 1943 si avvia a piedi, con moglie e figli, per oltrepassare la linea Gustav. Non è una passeggiata, devono attraversare per due chilometri un campo minato. Fortunatamente ci sono le guide, che si guadagnano da vivere accompagnando chi vuole fuggire dal paese. Faranno giusto in tempo perché Castelforte sarà raso al suolo. Gli americani li accompagneranno a Napoli e poi sfollati in Calabria a Spezzano della Sila, nella provincia di Cosenza.

1946 la famiglia Di Viccaro appena giunta a Latina

Vincenzo si darà da fare anche lì, tra i monti della Sila, per guadagnare qualcosa. Vende lupini essiccati agli abitanti del luogo, girando cantina per cantina dove si riuniscono per giocare a carte e ripararsi dal freddo dell’inverno. Dopo nove mesi, dalla fine della guerra, saranno spostati a Latina nella caserma dell’ex GIL (oggi ingresso del teatro D’Annunzio), adibita per gli sfollati. Con i risparmi guadagnati sulla Sila, trentottomila lire, aggiungendo l’incentivo statale per chi lascia il campo profughi, acquisterà una casa a Sermoneta, perché in città non ci sono appartamenti disponibili.

Per mandare avanti la famiglia, fa il manovale nei tanti cantieri della città. Ogni mattina parte con la bicicletta da Sermoneta per raggiungere il posto di lavoro, per poi tornare a casa la sera. Una vita dura per l’instancabile Vincenzo, ma anche per i tanti nelle sue stesse condizioni. Poi a Campo Boario acquista un piccolo appezzamento di terreno e finalmente costruisce una casetta. Convincerà anche i suoi fratelli, rimasti nel suo paese, a raggiungerlo perché il futuro è a Latina.

1964 Vincenzo Di Viccaro accompagna la figlia Caterina sull’altare nella Chiesa San Marco

I figli intanto crescono e Fortunata pensa al loro domani: è lei che in famiglia ha lo spirito imprenditoriale, è lei la visionaria che spingerà i figli al commercio. Vincenzo è un grande lavoratore, ma non è lungimirante. Domenico fa esperienza in una macelleria, poi ne aprirà una tutta sua. Lucia inizia come ambulante, fa i mercati, vendendo chincaglierie e poi borse. In seguito aprirà un negozio. Antonio per un breve periodo seguirà la sorella nei mercati, ma la sua passione è l’arte. Inizia a dipingere e nei primi anni sessanta le prime mostre. Oggi è un pittore molto quotato anche all’estero.

Peppino dopo aver iniziato con i mercati aprirà un negozio di abbigliamento, la stessa cosa Caterina con un negozio di abiti per bimbi. Mentre Franco farà esperienza nella macelleria del fratello, per poi aprirla per conto proprio. Vincenzo invece continuerà a fare il venditore ambulante di biancheria, casa per casa, prima in bicicletta e poi con un’Ape insieme a Gerardo, marito di Caterina. Fortunata morirà dopo un’operazione nel 1968, a sessantuno anni.

Vincenzo Di Viccaro in una delle sue ultime immagini accanto ai suoi sei figli

Qualche ricordo di Caterina e Peppino

L’incontro avviene a casa di Caterina. Peppino abita accanto e ci raggiunge. La chiacchierata ha così inizio.

Che mi dite dei vostri genitori?

Peppino: “Mia madre era l’imprenditrice, quella che sapeva guardare lontano. Il passato da trovatella aveva forgiato il suo carattere. Per mio padre invece, l’importante era campare. Partiva con la sua Ape e girava le case con la mercanzia. Era un ottimo venditore“

Caterina: “Mia mamma era severa, ma dolcissima. Era lei che portava la macchina, gestiva i risparmi ed educava noi figli. Mio padre invece si accontentava, l’unico suo pensiero era quello di portare da mangiare ai propri figli. Poi la sera si sedeva con noi e ci raccontava le fiabe. Era bravissimo a raccontarle”

Quando morì vostra madre come la prese?

Peppino: “Mia madre era un punto di riferimento per tutti, anche per lui. Continuò a lavorare e poi iniziò a viaggiare. Fece decine e decine di viaggi, soprattutto crociere”

Caterina: “Andò anche in America a trovare dei parenti che abbiamo lì. Frequentava spesso il centro anziani, vicino Piazza del Quadrato. Si era messo a recitare. Faceva gli spettacoli per gli anziani e venne pure premiato. Era un attore nato” Si commuove Caterina mentre lo ricorda.

Avete qualche foto di quando era giovane?

Peppino: “Macché, neanche una. Quando finì la guerra bruciò tutte le foto. Avendo la tessera del partito fascista, ebbe paura di ritorsioni. Mio padre era una persona mite, si era iscritto perché in paese lo erano un po’ tutti. La testa gli disse che doveva bruciare il suo passato. Peccato non avere immagini di quell’epoca”

1999 il Centro Sociale Anziani V. Veneto conferisce a Vincenzo Di Viccaro la qualifica di “Grande Attore” per bravura e simpatia

Vi ho raccontato la storia di uno dei tanti scariolanti: con la forza delle loro braccia scavarono canali e contribuirono alla bonifica delle paludi pontine. Persone semplici, senza istruzione, ma con una incredibile forza di volontà. Vincenzo Di Viccaro ebbe la fortuna di sopravvivere alla fatica e alla malaria. In molti non ce la fecero, morirono per realizzare quello che abbiamo sotto i piedi, non dobbiamo dimenticarlo mai. Vincenzo morì il 1 settembre del 2000, all’età di novantatre anni.