Quelli che fanno quota 60, o giù di lì

Quelli che fanno quota 60, o giù di lì

25 Gennaio 2020 0 Di Lidano Grassucci

Dedicato a Dammiano (al secolo Damiano Di Tullio) che segna per primo il passo di un anno in più, e a tutti quelli che: quasi quasi so 60. A Gianni diranno “ma è difficile capisce gl’amico teo”. Enzo da a Cuba

Cammini, cammini, fai chilometri, viaggi lontani. “Dio mio che è bello questo posto”, e ti innamori per un poco di quel posto che è la sua luce, il suo mare, o la sua neve nelle vette inviolate, o solo e nulla altro che prati, per tacere di architetture e quadri. Affreschi di vite non tue.

Viaggi con macchine che si accendono tutte le lucine, così avanti che “pensano” da sole.

Diventi anche che ti salutano tutti, “ciao come stati”, “buon giorno dottore”. Ma non senti ossequi, ne vita, stufe che non danno calore.

Diventi che… sei solo, ti manca qualcosa. Guardi le cose del mondo e sono tutte passate, di tutte conosci la genesi, la storia, l’onore e la meschinità di ogni giorno, perché arriva un ponto che di quella spiaggia cubana, di quel mare liscio che fa l’amore con le palme, di quel Caravaggio di cui conosci tutta l’ira, mica ti frega niente.

Arriva un tempo in cui aspetti il tempo guadagnato a non parlare di niente, a sfottere la gente per sfotterti te.

Arriva un tempo ritrovato in cui sei “ritornato” e ti accorgi di non esserti mai spostato di qua. In questa “Cuba” incredibile di auto giù di carrozzeria, con cui siamo partiti a sputi per questa vita e oltre gli sputi c’era poco o niente, se non la personale determinazione a farla tutta questa vita senza sconti.

Ora sono mille le cose, mille i rumori: “come va direttore, mi fa piacere”. Ma, sto andando diritto e passo uno stargate capovolto.

Guardo in viso questo mondo, mi aspetta davanti alla porta “mo su arivato, vi sempre tardi. E ripugni a su telefono”.

“Ohi cetto, ma che è gli compleanno te?”.

“Sì, è gli compleanno me”.

“Dammià, è gli compleanno nostro e so arrivato giusto”.

E’ umido qui, mi si confondo sul volto i liquidi, sono qui ho qualche tempo in più.

Enzo Mi dice “iamo a Cuba”, Gianni “se mi i pagate ci stonco”, “ma i bochi i ti, su cumunardo”. 

L’oste porta la ferrochina, eravamo scheletri di “mammocci”, mo se storie di mammocci cresciuti, o tornati? Certo la ferrochina ci fece alcolizzati di bisogno di crescere, ora cresciuti che il vino, dicono, sia buono, io lo trovo diverso, solo invecchiato.

Tra poco vi lasciamo, andiamo a Cuba.

“E E, ma addò sta sa Cuba”

“Ci vo i’aereo”

“I che aereo”

“Ecco i volo, co Iberia”

“Ma no è meglio Qantas”

“Ma 12 ore di volo”

“No, via Madrid”.

E non ci siamo spostati di un metro, perché, in fondo, il nostro mondo è solo questo qui.

Ha, l’avrete capito Damiano fa 59 anni, che sono tanti, ma che dico sono quelli che teniamo.

Eravamo quattro amici al bar
Che volevano cambiare il mondo
Destinati a qualche cosa in più
Che a una donna ed un impiego in banca
Si parlava con profondità di anarchia e di libertà
Tra un bicchier di coca ed un caffè
Tiravi fuori i tuoi perché e proponevi i tuoi farò

Ora stiamo qua stesi sulle vecchie parole, siamo vecchi anziani armati di illusioni giovanili

Alla ragazza del tavolo: “Quanti anni ci dà?”

Lei bara, capisce, il nodo dell’identità e tagli di netto almeno dieci anni di età. Daniela già ha prono l’itinerio con tanto di sconto, lei si che ci andrà a Cuba, noi, invece, parleremo di andarci perchè se ci andiamo poi di cosa raccontiamo. Un aereo in volo da guardare da qua, dall’acqua zolfa

“O Lì, ha rivenuta l’acqua”  Dice Gianni, ma è tardi tenemo da portà Enzo a faglio coleca, e Damiano fa i signore.

Morale: passa na cica e su 60. Vecchi signori, ma che rumore nel locale eravamo ragazzi senza regole.