Latina e l’accoglienza agli esuli istriani fiumani e dalmati

Latina e l’accoglienza agli esuli istriani fiumani e dalmati

9 Febbraio 2020 1 Di Emilio Andreoli

Era il 25 ottobre del 1948, subito dopo la guerra, e a Latina arrivarono circa mille profughi istriani, fiumani e dalmati che decisero di rimanere italiani. Erano trecento famiglie, e avevano abbandonato case e averi per non sottostare al regime jugoslavo di Tito. Scelsero la libertà e scelsero Latina, anche se la maggioranza degli esuli, che in tutto erano circa trecentocinquantamila, preferirono come destinazione il nord Italia. Ma l’accoglienza fu decisamente diversa, a Latina vennero accolti molto bene, contrariamente a quello che avvenne al nord, perché considerati tutti fascisti, in realtà non era proprio così.

 

Quando sei ragazzo non ti fai tante domande sul perché dei nomi delle vie o dei quartieri della tua città. Poi cresci e la curiosità e le riflessioni cambiano. Questo è quanto avvenuto anche a me. La guerra per me era lontanissima, da leggere e studiare a scuola solo sui libri di storia. Poi un giorno mi sono fatto due conti e mi sono accorto che dalla fine della guerra alla mia nascita erano passati solo quattordici anni. Insomma ero quasi figlio del dopoguerra e non me ne ero mai reso conto.

 

Da ragazzino giravo per tutta la città in bicicletta con i miei amici, ma c’erano dei quartieri che per noi erano off limits, perché considerati pericolosi dai nostri genitori. Ovviamente noi ci andavamo lo stesso per provare i brividi della trasgressione. Uno era il “Villaggio Trieste”, troppo vicino al campo profughi per essere considerato frequentabile. Erano tutte casette basse, composte da due appartamentini. I piani terra avevano pure dei piccoli giardini. A me quel quartiere piaceva molto.

 

Non sapevo del perché di quel nome, ma crescendo qualche domanda in più me la feci. Il “Villaggio Trieste” era stato costruito nel 1955 per ospitare le famiglie che erano andate via dai loro luoghi alla fine della seconda guerra mondiale, perché era diventata terra jugoslava. Avevamo perso la guerra e anche quella splendida regione, riconquistata combattendo, e vincendo, contro l’Impero Austro Ungarico nel 1918.

 

La resa e le foibe

La storia di quella terra è complessa e non è facile spiegarla in questo breve articolo. Cercherò di fare del mio meglio e per raccontarvela mi sono fatto aiutare da un testimone che ha vissuto quel tragico periodo storico. Ottavio Sicconi, classe 1930, è un “ragazzo” di novanta anni, è un omone alto e conserva l’eleganza degli uomini di una volta. Gli anni non hanno scalfito la sua memoria che la conserva viva, e la va a raccontare pure nelle scuole:

 

Era l’8 settembre del 1943, l’Italia firmò l’armistizio o meglio, la resa incondizionata con gli alleati. Nella mia piccola cittadina istriana, Parenzo in provincia di Pola, vedemmo, quel giorno, i nostri militari italiani andarsene via. Abbandonarono le loro postazioni credendo che la guerra fosse finita. Ci lasciarono  soli al nostro destino, solo i carabinieri rimasero nella caserma in nostra difesa, ma quando arrivarono i partigiani titini, fecero una brutta fine

Foiba

Nel frattempo è arrivato il mio amico Mario, fratello minore di Ottavio che continua il racconto, quando gli chiedo delle foibe:

Le foibe sono profonde spaccature del terreno che si trovano nella regione carsica e in Istria. Si sono formate con le piogge. Sono profonde anche centinaia di metri. È proprio in Istria, a Vines nel comune di Albona che vennero trovati i primi cadaveri in una foiba, circa una novantina. I partigiani titini fecero una caccia spietata ai fascisti o presunti tali. Li legavano due per volta all’avambraccio, poi sparavano a uno solo e l’altro veniva trascinato giù nella foiba ancora vivo. A Pisino d’Istria dei carabinieri si difesero e poi arresi con la promessa di avere salva la vita, ma alla fine vennero trucidati” Ne ho abbastanza di morti e se penso alle foibe e alle persone che sono state buttate giù vive, mi sento male. Quindi cambio discorso e chiedo a Ottavio del perché la sua famiglia scelse di venire a Latina:

 

La nostra era una famiglia di contadini, e nessuno si era mai occupato di politica, a noi fecero scegliere, o andarcene o di rimanere e diventare jugoslavi. Noi però ci sentivamo italiani, la nostra cittadina era stata per settecento anni sotto Venezia e scegliemmo l’Italia senza esitazioni. Vennero a casa due guardie a controllare cosa mettevamo nelle nostre valige, perché tutti i nostri averi, soldi e gioielli dovevano rimanere lì. In Italia ci prospettarono diverse destinazioni, tra le quali Latina. A mio padre sembrò il posto migliore perché vicino a Roma, che già conosceva, e perché era vicina al mare e la nostalgia di Parenzo sarebbe stata più tenue. Arrivammo il 25 ottobre del 1947 e ci ospitarono nella caserma ex GIL, giovani italiani del littorio. Li ci accolsero molto bene gli sfollati di Castelforte, il loro paese era stato completamente distrutto perché vicinissimo al fronte di Montecassino. Dopo la GIL ci spostarono nella ex caserma 82, adibita a campo profughi. La nostra famiglia scelse però di ricevere il rimborso di cinquantamila lire e di non pretendere più nulla dallo Stato e mio padre con quei soldi aprì una trattoria a Cisterna. I miei nonni invece, nel 1955, andarono ad abitare alle casette del “Villaggio Trieste”. Mentre nel campo profughi ricordo, che l’anno successivo accolse gli ungheresi, i primi a fuggire dal regime comunista, e lì abbiamo avuto la certezza di aver fatto la scelta giusta. Per quanto riguarda le foibe, per tanti anni è stato negato quell’eccidio,  e solo nel 2004 è stato istituito  il giorno del ricordo ogni 10 febbraio, per commemorare le migliaia di vittime italiane, ma anche slave contrarie al regime di Tito”

 

Ottavio e Mario Sicconi sono due nomi importanti per la cultura della città, perché hanno due librerie storiche, il primo in via Emanuele Filiberto, la libreria “Sicconi” e il secondo, la libreria “Manzoni” in corso della Repubblica. In breve, due eroi del nostro tempo.

Bimbo al Villaggio Trieste

Le casette del “Villaggio Trieste” sono state buttate giù nel 1983, al loro posto ci sono ora dei palazzoni e una piazza, dove c’è il monumento ai martiri delle foibe. Io avrei lasciato le casette perché il quartiere secondo me era più identitario. Almeno si potrebbe mettere un cartello all’ingresso, sulla circonvallazione, “Quartiere Villaggio Trieste”. Non è difficile e costa pure poco… ma quando la famo st’identità se non cominciamo da ‘’ste piccole cose?

 

Nella foto di copertina il “Villaggio Trieste” prima dell’abbattimento. il bimbo nell’ultima foto è l’amico Marcello Della Senta che ringrazio.