Cisterna, esodo 19 marzo, la paura che ora viviamo tutti

Cisterna, esodo 19 marzo, la paura che ora viviamo tutti

19 Marzo 2020 0 Di Luca Cianfoni

Una delle brutture della quarantena è l’eterno ritorno dell’uguale, il continuo ripetersi dei giorni senza che essi cambino o acquistino significati diversi, ma oggi per Cisterna è un giorno importante, è un giorno doloroso, è il 19 marzo, giorno in cui, nel 1944 i cisternesi furono costretti all’esodo dall’incalzare della guerra e della battaglia.

Cisterna, il ricordo del 19 marzo

Oggi, in periodo di quarantena, purtroppo non si è potuto svolgere nemmeno il canonico rito di ricordo delle vittime e di quel momento tragico, ma allo stesso tempo fondativo, della storia moderna di Cisterna. L’esodo del 19 marzo 1944, è un evento così doloroso per la città, che la Piazza principale del paese porta quella data, per fare in modo che non si dimentichi mai. La Dea Feronia, scolpita dallo scultore Biondi e posta al centro della piazza sulla fontana, allora assume addirittura un altro significato; lei è rimasta lì anche quando i cisternesi non c’erano, anche quando furono obbligati a scappare dalle proprie case, dalle proprie grotte, dalla propria terra a causa della guerra. Lei che li riaccolse come la statua della libertà accoglieva i migranti italiani i America, lei sfigurata ha riaccolto tutti nella propria città.

La paura della guerra oggi

E oggi probabilmente, con il periodo che stiamo vivendo, capiamo meglio cosa provarono quegli sfollati cisternesi che vissero nelle grotte tra il 22 gennaio del 1944, giorno dello sbarco di Anzio e il 19 marzo, giorno dell’esodo. Oggi, quasi (e si sottolinea mille volte quasi) come allora, non si può e non si deve uscire, allora per i tedeschi oggi per paura di un virus letale, subdolo, infame, che coglie tutti e a tutti fa paura.

Si sottolinea il quasi, perché oggi noi dobbiamo restare chiusi nelle nostre case calde, con dei letti veri, l’acqua corrente, cibo in abbondanza, con le medicine che non mancano e con il calore dei nostri cari vicino a noi, grazie anche ai social.

Si sottolinea quasi, perché allora non si poteva neanche restare a casa, al massimo nella grotta se la si aveva, o si doveva chiedere riparo a chi poteva darlo.

Si sottolinea il quasi, perché cibo ce n’era poco, medicine men che meno, e come letto ci si accontentava della terra cruda; l’acqua poi, si andava a prendere alla grande buca formata da una bomba che aveva rotto una conduttura dell’acqua sul Corso, vicino l’odierna Piazza dei Caduti e lo scendere lì, in quella enorme buca, senza far cadere la terra nell’acqua era diventato gioco di bambini.

Si sottolinea il quasi, perché noi abbiamo (più o meno) un orizzonte d’attesa e la certezza che questa battaglia finirà; loro no, non l’avevano; avevano la speranza ma li hanno cacciati dalla loro terra, li hanno dispersi a Roma o nei campi di Trevi o sono scappati prima verso Norma, Cori, Bassiano, Sezze…

Allora anche se oggi non è possibile commemorare pubblicamente quei civili che dovettero scappare dalle proprie terre, lasciamo correre almeno un pensiero al ricordo di questa giornata, facendo propria qest’esperienza di quarantena che ci ha fatto vivere una piccola parte di quello che durante la guerra provarono i cisternesi di quel tempo.

 

Al pellegrino che domanderà della nostra vita, non dite: “Per pietà!”. Non parlate dei vostri figli raminghi e dispersi che attendono ancora per darvi il bacio del ritorno, non dite: “Qui fu Cisterna” ma forte gridate: “Qui risorgerà Cisterna!”

Padre Eugenio Calderazzo