Covid 19/ Viaggio intelligente tra bisogno di untori e quella storia del mal francese e fiorentino

Covid 19/ Viaggio intelligente tra bisogno di untori e quella storia del mal francese e fiorentino

17 Agosto 2020 0 Di Fatto a Latina

Questa volta Facile Penna ci porta in un intelligente viaggio sulla non intelligente corsa all’untore che caratterizza ogni pandemia, ogni paura. Conforto le tesi di Facile Penna con la mia vicenda sulla difesa di un pugno di ragazzi che da Lampedusa sono stati ospitati a Latina, erano immigrati, neri e soprattutto poveri, quindi? I pensanti bene hanno cominciato ad urlare all’untore e, a me che richiamavo la civile civiltà di essere educati con loro, hanno augurato di prendere il covid, mi hanno tolto il saluto. Quanti di “noi” (dio mio che parola orribile quando esclude) sono stati contagiato da loro: nessuno, dico nessuno. Uno di “noi” (sempre medesima cosa orribile) rientrato dalla Spagna, dove era andato non per bisogno ma per diletto, ha fatto chiudere tre locali e fatto fare 500 tamponi, un paio anche positivi. Abbiamo bisogno sempre del nemico: in Francia la sifilide si chiamava mal fiorentino, a Firenze mal francese solo che i batteri che la causavano non parlavano né italiano né francese ma gli piaceva l’umano e agli umani fare quello che lo trasmetteva. Così è la vita e la paura ci fa sempre idioti (L.G.)

 

I primi untori furono i cinesi, che avrebbero portato la pandemia del Covid-19 sul suolo italico, pure quelli nati e cresciuti dalle parti nostre e che avevano visto Pechino solo su Discovery Channel. Si videro persone cambiare strada solo ad incrociare un essere umano con gli occhi a mandorla (“aho ma io so filippino!!”) e dimenticare le vagonate di
involtini primavera ingurgitati fino alla mezzanotte del 21 febbraio 2020. Si salvarono i sudditi del Celeste Impero perché i progressisti li abbracciarono per non sembrare sovranisti (“il peggior virus è il razzismo”), esagerando
come fanno di solito i progressisti quando vogliono mostrarsi umani (vollero farci abbracciare pure chi tornava dal Wuhan su un volo aereo). Poi furono i nordici (abitanti della pianura padana e veneti) a prendere il testimone dell’untore (“a Milano non rispettano per niente le regole. Visto che assembramenti sui Navigli? Mica come noi qui a Latina”) e vedersi rifiutati dagli alberghi del Sud-Italia dove pensavano di poter passare le vacanze di Pasqua (ora gli è passata sta cosa agli albergatori della Bassa Italia, perché pecunia non olet e nemmeno infetta alla bisogna). Venne quindi il tempo dei terroni di ritorno; i meridionali che lavoravano al Nord-Italia ma che di fronte al terrore dell’infezione, fuggirono da mamma’ (notoriamente il sistema sanitario a sud di Roma è più efficiente e sicuro di quello lombardo o veneto). Questi furono respinti a male parole e bloccati ai confini dalle regioni d’origine con molta più ferocia di quella riservata nell’Ottocento alle armate sabaude dall’esercito borbonico (non portate il vostro virus del nord nei nostri polmoni). Quindi venne il tempo dei bambini (mocciolosi super-untori) presentati come probabili assassini dei nonni; loro fu impedito pure di uscire di casa, concessione invece riservata a Labrador e Jack Russel (Ma le è pazza?
Porta suo figlio al parco? Avesse un cane capirei pure). Sembrò arrivare pure il momento di cani e gatti ma sul fronte animalista (Non si toccano i nostri amici pelosi) si compattarono tutti (politici, giornalisti e scienziati) in difesa del sacro animale domestico e la cosà scemò subito. Arrivò d’estate, come da tradizione, “l’emergenza sbarchi” e con quella il momento “untuoso” di immigrati e rifugiati che però fu surclassato dal nuovo super-untore, il giovane che fa il giovane; ovvero quello che d’estate si assembra coi simili in discoteca (questi ballano ed il virus avanza) ed in spiaggia, magari cercando, sacrilegio, di scambiarsi effusioni con altri senza trovarsi nella condizione di affetto stabile. Quei giovani che stranamente non si preoccupavano di un virus che, dati alla mano, non li colpiva se non in modo marginale. Per loro vennero proposte ed approvate norme ad hoc, come quella dell’obbligo di mascherina in “orario aperitivo” o “in tempo di notte”. Attendo ora con una certa apprensione chi potrebbe raccogliere dai giovani
che fanno i giovani il testimone dell’untore. Ho i capelli rossi (non molti, causa crollo tricologico) e temo fortemente che qualche virologo mediatico possa proporre urbi et orbi uno studio che identifica il colore rosso dei capelli come carattere distintivo dei famigerati asintomatici infettanti. Noi “pel di carota” abbiamo già pagato abbastanza il nostro pegno alla santa inquisizione finendo sul rogo insieme alle “streghe”, che almeno questa persecuzione ce la eviteremmo volentieri. Quasi quasi, fingendomi un luminare cinese, il Dottor Chong Il Vaccin, suggerisco al Comitato Tecnico Scientifico, l’idea che siano gli Juventini i maggiori portatori del Covid-19, così risolvo due problemi con un colpo solo. Al di là degli scherzi ricordo che fino ad ora nessuno studio scientifico ha dimostrato con certezza che una data categoria di persone o determinate situazioni possano essere maggiormente causa di diffusione del coronavirus.
Quindi, prudenza e cautela si, ma Tomas De Torquemada lasciamolo nel buio del passato.

PS Le frasi riportate in corsivo sono state realmente da me ascoltate negli ultimi mesi.

Davide Facilepenna