Latina: storie di negozio, di città e la leggenda di Zazà

Latina: storie di negozio, di città e la leggenda di Zazà

15 Novembre 2020 3 Di Emilio Andreoli

A Latina ci sono stati personaggi, anche un po’ bizzarri, che sono rimasti nella memoria collettiva della città, e quando qualche ricordo di loro torna alla mente ci strappa un sorriso, e in un momento storico così incerto ne abbiamo terribilmente bisogno. In questo racconto tenterò di darvi un po’ di leggerezza per scansare, anche solo per un attimo, la pesantezza dei numeri che ogni giorno provocano ansia e paura, soprattutto per quelli che hanno passato la sessantina come me.

In cinquant’anni di vita da negozio ho visto passare così tanta gente, che certe volte ho difficoltà a riconoscere i tratti dei volti delle persone. Capita infatti che qualcuno mi saluti per strada e io risponda per cortesia, arrovellando la mia mente per cercare di ricordare chi sia. Con le mascherine la situazione è anche peggiorata. Fatta questa premessa, alcuni personaggi particolari che sono passati nel mio negozio, ma anche in giro per Latina, mi sono rimasti nella mente e alcuni anche nel cuore.

Uno dei primi che ricordo con molto affetto è Antonio il cieco, veniva ogni mattina a chiedere un soldino. Con il suo bastone cercava l’ingresso, poi si affacciava e diceva: “Buongiorno signor Andreoli” e lo ripeteva fino a quando qualcuno non rispondeva. Lo ricordo sempre vestito con un completo marrone. Antonio girava tutta la città e sapeva a memoria tutti i negozi, e i nomi dei commercianti. A volte si metteva anche davanti al mercato coperto.

Antonio il cieco

Girava voce che ci vedesse più che bene e fosse anche molto ricco. In realtà Antonio era un pensionato e non era per niente benestante, certo avrebbe potuto vivere dignitosamente anche senza chiedere l’elemosina, ma credo lo facesse per sentirsi parte integrante della comunità, nonostante la sua invalidità.

Ricordo bene anche una vecchina tutta curva con degli occhi dolcissimi, anche lei passava ogni mattina a chiedere il soldino: “Che Dio ti benedica” mi diceva ogni volta. Di lei purtroppo non ho mai saputo nulla, solo che chiedeva l’elemosina non per lei, ma per una vicina che era invalida. Insomma una santa donna a cui mi piacerebbe dare un nome. Lei è una di quei personaggi che ho nel cuore.

Uno che girava spesso dalle mie parti era Pino radiolina al secolo Giuseppe Massari, che purtroppo è venuto a mancare proprio pochissimo tempo fa. Lui non chiedeva l’elemosina, ma la “benzina” per la sua radiolina, e io gli regalavo ogni volta quattro batterie. Lo ricordo sempre sorridente, ma sapevo che alcune cose lo facevano veramente arrabbiare, soprattutto se gli dicevi: “Abbasso il Perugia”.

 

Pino radiolina

Anche Salvatore il bruscolinaro veniva ogni tanto e mi diceva sempre la stessa cosa: “Ce l’hai?”. Non ho mai saputo cosa volesse, io gli rispondevo: “Arriva la prossima settimana”. Lui si sfregava le mani in segno di soddisfazione e andava via felice della mia risposta. Però è giusto anche ricordare il fratello Franco che mi era vicino di negozio, perché vendeva i bruscolini davanti al “Supercinema” . Lui quando vedeva passare una bella ragazza rimaneva inebetito e ne annusava la scia profumata che lasciava nell’aria.

Salvatore Minenna, il bruscolinaro

Ed è giusto ricordare anche i genitori di Franco e Salvatore. Il papà si metteva davanti al cinema Giacomini, seduto sul suo sgabellino, a vendere bruscolini. Sembrava il vecchietto dei film western di Sergio Leone. Per la mancanza dei denti, quando chiudeva la bocca, con il naso toccava il mento. La mamma invece era piccolina e aveva il volto severo. Spesso la si vedeva a spasso con i figli che teneramente teneva per mano, e Franco e Salvatore avevano l’aria fiera di quella mamma.

Pasquale Zambuto, quando viveva da clochard

Poi c’era Pasquale che era di origine napoletana. Purtroppo per una delusione d’amore aveva perso la ragione e la sua piccola ditta edile. Dopo anni di strada vissuti da clochard, nonostante avesse la casa popolare, Pasquale finalmente vive ora in una casa famiglia, dove viene accudito con amorevolezza.

Pasquale il clochard, oggi in una casa famiglia

Ricordo anche “Mandolino” un signore che andava in giro a suonare per le vie della città. Portava con se, oltre al suo mandolino, un taccuino dove scriveva chi dovesse andare all’inferno e chi in paradiso. Si metteva davanti ai cartelloni del cinema e segnava i buoni e i cattivi. Un giorno mi avvicinai e lui mi disse mostrandomi il foglio: “Vedi, questo va all’inferno e questo va in paradiso”. “E io?” gli chiesi: “ Tu vai in paradiso” e mi fece una suonata di mandolino.

Ricordo Ringo che con il suo moto carrettino si faceva sentire, suonando la trombetta, già da via Isonzo. Veniva a prendere cartoni e ferro vecchio, mi pare venisse da  Sabaudia, ma non ci giurerei. Gaudenzio invece lo ricordo allo stadio, con quei suoi occhi stralunati, a gridare “Forza Latina”.

C’era anche Pattaro che veniva dalle parti di Borgo Grappa con il suo motorino smarmittato. Su quattro parole almeno tre erano bestemmie. Girava in Piazza della Libertà gridando forza Juve e bestemmiando in veneto. Vorrei sbagliare, ma credo che morì qualche anno fa in un incidente proprio con il suo motorino.

In Piazza della Libertà girava pure Marsala, ma lui correva con la sua bicicletta Graziella. Marsala a giocare a bigliardino era un fenomeno, stava sempre nella saletta di fronte al bar Di Russo. Finito di giocare saltava in sella alla sua bici e cominciava il tour a tutta velocità intorno alla piazza, poi sfinito se ne tornava a casa. Ova invece andava in carrozzella, spesso spinta dal fratello. Ova aveva un vizietto, toccare il sedere a tutte le ragazze che gli capitavano a tiro di carrozzella.

Non potevo dimenticare Giovanna e Peppinella, soprannominate “le sorelle pesce pesce”. La prima cicciottella e la seconda molto magra. Le ciabatte di Giovanna erano sempre in volo, perché le tirava in continuazione a chi le disturbava. Anche se le guardavi con insistenza Giovanna partiva di brocca, cominciava con le parolacce e finiva con le “ciavattate”. Davanti le mie vetrine vedevo passare prima le ciabatte e poi loro.

Davanti al mercato coperto, all’ingresso in via Don Morosini, c’era Alfonsino che racimolava qualche soldino facendo il guardiano delle biciclette di chi andava al mercato. Nessun malintenzionato si avvicinava a quelle bici, perché solo a guardarlo Alfonsino metteva paura, ma in realtà era un pezzo di pane.

Alfonsino

La leggenda di Zazà

La storia di Zazà è diventata leggenda. Non si è mai saputo da dove e quando fosse arrivato a Latina, sicuramente dal suo dialetto dalla Campania. Pare fosse Figlio di N N, quindi un trovatello. Non vi è certezza neanche dove alloggiasse, qualcuno mi ha riferito in un sottoscala del Villaggio Trieste.

Di certo, perché lo ricordo bene, vendeva i limoni all’ingresso secondario del mercato coperto, in Piazza del Mercato. Mi sembra di sentire ancora la sua voce rauca: “Quattro limoni ciento lire”. La leggenda narra che se le signore pagavano con cinquecento lire, lui avendo le mani piene di limoni, diceva: “metti a’ manò rinto a’ tascà”. Le ingenue signore infilavano le mani per prendere il resto nella sua tasca, bucata, e trovavano la sorpresa, e che sorpresa. Sì, perché Zazà era così superdotato che Rocco Siffredi sarebbe impallidito.

Oltre che vendere limoni la mattina, Zazà nel pomeriggio andava ad arrotondare oliando le serrande dei negozi, ma poi tutto quello che aveva guadagnato se lo andava a bere. Ed ubriaco perso andava a fare danni in giro per Latina. La leggenda ora diventa a luci rosse: pare che una volta entrò in un noto negozio di abbigliamento e sul bancone poggiò il suo “scopettino” facendo scappare commesse e clienti.

Solo un suo amico gli dava filo da torcere in fatto di virilità, un fruttivendolo ambulante delle case popolari che chiamavano don Alberto, un grande donnaiolo, ma Zazà con i suoi quasi trenta centimetri era il numero uno. Zazà morì una decina di anni fa, ubriaco perso, vicino la stazione di Sezze Scalo finì sotto un treno. Anche se qualcuno sostiene che potrebbe essere stato spinto da qualcuno che lui, sotto i fumi dell’alcool, potesse aver infastidito.

 

Termina qui il mio giro di personaggi, sicuramente ne avrò dimenticato qualcuno, perdonatemi. Il mio amico Mauro Corbi direbbe: “Bella Latina!” Già! Era bella Latina, quando ci conoscevamo un po’ tutti.

Ringrazio per le foto l’amico Salvatore De Monaco.

Nell’immagine di copertina “Personaggi”, opera del maestro Mario Iavarone