Quella volta che tentarono la secessione della Lepinia

Quella volta che tentarono la secessione della Lepinia

3 Gennaio 2021 0 Di Fatto a Latina

La storia che racconta in queste righe, con la dovuta ironia (merce rara qui), Davide Facilepenna è vera anche se lui la racconta verosimile. Pensammo, davvero, che dovevamo ricucire la nostra storia e le nostre radici. Era goliardia certo, siamo tutti seguaci di Garibaldi e italianissimi, ma… essere italiani non significa non essere Lepini. Recupero dell’identità e allora facevo nel giornale che dirigevo, Il Territorio, titoli in lingua lepina. Riportavo espressioni popolari in una città, Latina, che si pensava fighetta in uno slang romanaccio offensivo per quanto volgare. Chi eravamo: Titta Giorgi, Sabino Vona, Memmo Guidi, Mauro Carturan, Masetto Bianchi, Paride Martella, Luigi Zaccheo, Enrico Forte, Sergio Corsetti, Roberto Campagna, Giancarlo Massimi, Armando Cusani, Maria Corsetti. Allora era presidente del Latina calcio Antonio Sciarretta e facemmo giocare la squadra con la scritta Lepinia sulle maglie e un saettone (un serpente che noi definiamo grosso e cazzaccio) sulla spalla simbolo di un popolo che è “voccalono ma non fa malo” . Per dire delle vere radici di questi meravigliosi posti.

 Goliardia, ma anche orgoglio, riscoperta di noi senza offesa per alcuno. Quando scomparve Sabino Vona che del gioco era acuto “regista”. Lui era stato sindaco di Roccagorga, segretario provinciale del partito comunista intitolai nel salutarlo “U babbu di a Patria”. Era la definiziazione che i corsi, in corso, danno di Pasquale Paoli il padre dell’identità di quel popolo. Ecco, giocammo a riscoprirci quando tutti erano “globali” e volevano parlare inglese. Del resto siamo nati capoculo. Dedico anche questo articolo a Sabino Vona, u babbu di a Patria”

(Lidano Grassucci)

IL RACCONTO DI FACILEPENNA

Nei primi anni del Duemila vivevo e lavoravo nel profondo Nord, dalle parti di Como precisamente. In quegli anni le amministrazioni locali di quella zona erano quasi totalmente dei monocolori leghisti. Era però una Lega molto diversa da quella odierna, quasi da sembrarne nemmeno la lontana parente.
Era una Lega che si chiamava ancora Lega Nord, aveva come capo l’Umberto di Cassano Magnago e si dibatteva tra progetti federalisti e spinte secessioniste. Avevano pure inventato una nazione che volevano separata dal resto d’Itala, la “Padania”. I loro nemici principali erano allora i “terroni”. Come succede spesso in politica e nella vita le cose possono cambiare anche totalmente. Oggi la Lega Nord si fa chiamare solo Lega ed ha quale leader il milanese Matteo. Il partito non parla più di secessione e nemmeno di federalismo, anzi ora è un movimento nazionalista e sovranista che prende tanti voti pure al centrosud.

A Latina è addirittura il partito di maggioranza relativa ed un paio d’anni fa si è svolto, ai Giardini Falcone-Borsellino, il Primo Congresso Regionale della Lega del Lazio. Uno dei leghisti più in voga Claudio Durigon, ovvero “Mister Quota-Cento”, è un pontino DOC per quanto d’origine veneta.
Non era così nel dicembre del 2005, quando tornai a trovare i miei parenti per le feste natalizie. A quei tempi i Leghisti disprezzavano, contraccambiati, qualsiasi cosa si muovesse al di sotto del Rubicone. Trovare un leghista da Firenze in giù era più difficile che scovare un napoletano che tifasse Juventus.
Figurarsi poi di trovare qualche personaggio pubblico che disquisisse di autonomia e secessione a Latina.
Eppure in quei giorni mi ritrovai a leggere sui giornali locali di richieste di autonomia da Roma avanzate dai territori pontini.
Scopri che la Padania aveva una sorella gemella locale, la Lepinia; un territorio immaginario che ricomprendeva tutti i paesi dei monti lepini e che rivendicava una propria indipendenza. Una sorta di Catalogna “de noartri”.
Tra i promotori della secessione lepina, il giornalista Lidano Grassucci che io conoscevo come
socialista lombardiano. Liquidai la cosa come una boutade, soprattutto in considerazione della fama di guascone e
provocatore del Grassucci. Tanti anni dopo, una volta tornato nelle terre della palude, mi sono ritrovato pendolare sulla tratta Latina-Roma.
Tra i compagni di viaggio ho incrociato proprio Lidano “Il Direttore”, cui non potei non chiedere notizie della battaglia autonomista di quindici anni prima. La spiegazione, che riassumo a parole mie, è meravigliosa ed emblematica della serietà che andrebbe data a certe trovate e dibattiti che avvengono sul suolo italico.
Mi disse Grassucci che quella della Lepinia era chiaramente una provocazione volta solo a “perculare” le “sparate” di Umberto Bossi sulla Padania ed annesso Dio Po. Una cosa nata tra amici (giornalisti e politici) in serate forse troppo alcoliche. I partecipanti ci hanno poi giocato sopra quando, in virtù dei propri ruoli, si sono trovati a dibattere pubblicamente dei problemi della nostra realtà territoriale, dicendo che sarebbe stato necessario riscoprire l’identità locale ed intraprendere un percorso di autonomia da una Regione poco attenta a quello che avviene fuori dal raccordo anulare.
Nulla di più, ma ad un certo momento avvenne l’incredibile. Alcuni dei secessionisti furono contattati per una chiacchierata, da un alto funzionario dello Stato Italiano con cui erano in confidenza.

I lepinisti pensavano ad un normale e cordiale colloquio tra conoscenti e, soprattutto, credevano che l’alto funzionario sapesse della natura goliardica della loro battaglia autonomista. Quando gli chiese nello specifico della Lepinia, ci andarono allora giù duri “ Certo che volemo l’autonomia. Ma puro la secessione. Se simo stancati de Roma ladrona. E alle riunioni pe organizza’ la secessione mica simo soli. Tenemo la magistratura e puro li carabinieri. Lo colonello
ci viè sempre co noi e c’ha assicurato le truppe da dislocà sulla strada migliara” . All’ultima frase l’alto funzionario, che intanto prendeva appunti freneticamente, impallidì. I presunti congiurati allora capirono che per loro la situazione si faceva seria e che, per qualche strano motivo, la natura goliardica della Lepinia non era stata percepita come tale dal funzionario della Repubblica.
Il motivo del fraintendimento fu presto disvelato ed i chiarimenti immediati evitarono che “i baschi all’amatriciana” finissero trasportati dai GIS nel carcere di Pianosa.
Un onorevole dell’UDEUR, forse malamente informato da suoi referenti pontini, aveva presentato un’interrogazione parlamentare in cui chiedeva conto al Ministro degli Interni della natura di alcuni movimenti secessionisti che stavano dilagando nelle terre pontine. Da lì si era mossa immediatamente tutta la macchina dello Stato per fermare i presunti rivoltosi. Una storia incredibile e divertente ma pure tanto italiana.
Una storia in cui si mischiano boiate assolute prese per serie, perché spesso la realtà supera la fantasia da noi. Chi l’avrebbe immaginato dieci anni fa che un movimento fondato da un comico con lo slogan “Vaff….” avrebbe gestito come partito di maggioranza la più grave crisi sanitaria dal dopoguerra ad oggi?
Per la cronaca la Lepinia non s’è mai fatta, ma nemmeno la Padania.
Chissà se chi progettò la Terra Verde nel Nord non aveva cominciato come i congiurati di casa nostra.

Davide Facilepenna

Ps: le foto sono tratte dai due libri che furono pubblicato in quegli ani: Lepinia, storia di ‘mpuniti e butteri, santi e papi;  Misteri lepini. entrambi edizioni Il Territorio. La foto di Lepinia è una foto “clandestina” degli scioperi alla rovescia di Roccagorga.