Bobby Sands, l’ ultimo poeta-rivoluzionario di Davide Facilepenna

Bobby Sands, l’ ultimo poeta-rivoluzionario di Davide Facilepenna

31 Maggio 2021 0 Di Fatto a Latina

A Roma, da alcuni giorni, l’uscita della Fermata Jonio della Metro-B1 è tappezzata di manifesti che ritraggono il volto sorridente di un ragazzo coi capelli lunghi. E’ la stessa immagine che era stampata sopra una spilletta che, ventenne, comprai a Parnell Square, nella blindatissima sede dublinese dello Sinn Fèin.
Quel volto giovane appartiene a Robert (Bobby) Gerard Sands, di cui quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario della morte, avvenuta il 5 maggio 1981.Bobby Sands, che era un attivista repubblicano nord-irlandese, finì in galera a causa del suo impegno politico e ci passò gli ultimi quattro anni di vita.
Per paradosso (chiamiamolo così) si ritrovò rinchiuso, insieme ad altri suoi compagni dilotta, nei famigerati Blocchi H della prigione di Long Kash (riservati solo ai detenuti politici repubblicani) senza essere, però, mai riconosciuto come prigioniero politico dal Governo di Sua Maestà.
La morte di Bobby Sands, insieme a quella di altri nove giovani feniani, avvenne in prigione dopo una serie di lunghe e dure battaglie contro il regime carcerario, culminate in uno sciopero della fame di sessantasei giorni.
L’allora Primo Ministro Britannico Margaret Thatcher (“Bobby Sands era un criminale. Ha scelto di togliersi la vita”) si rifiutò, malgrado fosse scontato il tragico epilogo delle proteste, di ripristinare lo status di “prigionieri politici” per gli attivisti Repubblicani; anche se ad abolirlo furono, nel 1976, i laburisti (a dimostrazione che sul tema nella politica
inglese c’è stata sempre unità di “vedute”). Di quella terribile scelta (non condivisa dalla sua stessa parte politica) rimangono gli scritti dello stesso Sands (usciti miracolosamente dal carcere).
Molti di quegli scritti sono raccolti in due libri editi in Italia ormai diversi anni fa: Fino alla Vittoria ed Un Giorno della Mia Vita. Il secondo in particolare è il diario dettagliato della detenzione (terribili al limite del disgusto le descrizioni minuziose delle torture e delle umiliazioni fisiche e psicologiche subite) che ha portato alla morte dell’apprendista carrozziere di Rathcoole.
Io preferisco altri scritti di Bobby Sands che sono stati tradotti di recente in italiano da Enrico Terrinoni e Riccardo Michelucci (Scritti dal Carcere – Poesie e Prose. Editore Paginauno).
Quello che ho ritrovato qui è un Bobby Sands molto diverso da quello che ricordavo al tempo della mia passione giovanile per la terra di James Joyce. Non il Bobby Sands capo militare dell’IRA (non è mai stata dimostrata la sua
partecipazione diretta ad azioni militari eclatanti e “capo” lo divenne solo in carcere). Nemmeno il guerrigliero invasato, descritto come un pazzo autolesionista dai sui detrattori.
Tantomeno il santino nazionalista propugnato da alcuni gruppi della destra italiana, quasi fosse un incrocio tra D’Annunzio e Italo Balbo (fatto incredibile che solo l’eccezionalità nostrana ha potuto produrre). Bobby Sands era un intellettuale autodidatta con una cultura altissima e raffinata; impressionante il livello linguistico dei versi di poesia scritti da uno che lasciò la scuolapoco dopo l’adolescenza.

“Oh!, venti sibilanti, perché mai piangete
Se siete liberi voi di vagare?
Oh!, è forse spezzato il vostro povero cuore?
Disperso lontano da qui?
Oppure i pianti portate
Di popoli nati non liberi?”

Era un patriota ma non un nazionalista (non una parola sul desiderio di supremazia della propria nazione sulle altre, nemmeno nei confronti dell’Inghilterra) ed era, soprattutto, un appassionato studioso delle tradizioni del proprio popolo. Per lui la nazione era, in realtà, la grande comunità irlandese.

“Il chiurlo cantava nella notte immobile, Ròisìn Dubh stava morendo”

Bobby Sands era un poeta ed un rivoluzionario. Rivoluzionario ma non ribelle, perché la sua era una rivolta lucida, esclusivamente finalizzata ad un preciso cambio di sistema politico.
Un rivoluzionario, nello specifico, socialista perché la causa della riunificazione della Repubblica d’Irlanda in lui è sempre strettamente connessa alla necessità dell’avvento di una Repubblica Socialista (il tema ritorna continuamente negli scritti). Il suo era però un socialismo, come dire, umanistico e non scientifico. Non fa mai riferimento in modo diretto al marxismo o a sistemi politici specifici, pur avendone contezza. Se proprio dovessi definirlo mi verrebbe in mente solo un termine ottocentesco. Lo direi un sainsimoniano (ma credo ne riderebbe pure lui)
Era un uomo-ragazzo che aveva paura di odiare.

“Mi chiedo perché col passare dei mesi sia cresciuta quell’amarezza dentro di me. Un odio
così intenso che mi fa paura”.

Un’anima capace di ritrovare la gioia nei pochi squarci di natura che le sbarre gli consentivano di afferrare.

“E’ ciò che passa, che indugia e che si materializza davanti alla mia umile finestra a salvarmi; smorza la depressione, mi permette di contemplare”

Era un amante della vita e non un kamikaze alla ricerca la bella morte, che avrebbe dato qualsiasi cosa per correre ancora una volta, nei verdi prati della sua isola, una di quelle gare podistiche che tanto amava da ragazzo.

“Quando il cielo si fece grigio e nuvoloso minacciando di piovere, una voce abbaiò un ordine ed io mi irrigidii. Intorno a me altri cento compagni fecero la stessa cosa”

Sicuramente anche un soldato pronto ad imbracciare le armi e non certo un pacifista, ma nemmeno un amante della violenza che inseguiva la vendetta a tutti i costi.

“La nostra vendetta sarà il sorriso dei nostri figli”

Un serio militante politico che ha fatto una scelta razionale (che io non condivido ma rispetto) non diversa, a far bene i conti, da quella di Jan Palach o di quel monaco buddhista vietnamita che si diede fuoco a Saigon nel 1963 (nessuno ha mai parlato di loro come criminali invasati).
Una scelta che, fatti alla mano, è stata fondamentale per far uscire la questione nord- irlandese dai confini stretti dell’Ulster e determinare tutto ciò che è avvenuto dopo la sua morte (compreso l’Accordo del Venerdì Santo).
Al di là delle valutazioni storico-politiche, rimane il dubbio di aver perso un grande poeta-
rivoluzionario che ora sarebbe, magari, un poeta-presidente (o forse quello nell’altra Irlanda c’è davvero?) perché poi la politica e la vita fanno giri strani.
Chi un giorno è stato considerato un pazzo invasato poi diventa, certe volte, una Padre della Patria (la parabola dei nostri Mazzini e Garibaldi insegna).
Tiocfaidh ár lá 

Davide FacilePenna