Pasquale Andreoli, vent’anni fa la sua scomparsa

Pasquale Andreoli, vent’anni fa la sua scomparsa

4 Luglio 2021 1 Di Emilio Andreoli

Permettetemi di ricordare mio padre, Pasquale Andreoli, a vent’anni dalla sua scomparsa. Un imprenditore, ma soprattutto un uomo che ha amato Latina, una città che lo ha ospitato appena diciottenne. Era il 1952 quando arrivò con la sua vespa 50 dal suo paese, chiamato dal padre perché cercavano un tecnico in un negozio di radio e televisioni in via Eugenio di Savoia. Aveva percorso più di cento chilometri, ma alla fine aveva trovato lavoro e una nuova città… Non è facile scrivere di un genitore senza cadere nella retorica. Potrei scrivere solo delle sue qualità, ma lui era un uomo e come tutti gli umani aveva le sue debolezze e i suoi difetti. Cercherò di essere obiettivo, come mi ha insegnato lui.

Era un caldo pomeriggio di mercoledì, quel  4 luglio del 2001. Io e mio padre c’eravamo incrociati alle cinque del pomeriggio nel negozio di Corso della Repubblica, mentre andavo nell’altro in via Tommaseo. Poche parole e un saluto. Lui stava andando con mia sorella  a comprare qualche capo di abbigliamento nel negozio di Mancinelli, era il suo preferito perché aveva un ottimo rapporto di stima e amicizia con Amos, figlio del titolare Nino, per la sua educazione e competenza nel saperlo consigliare.

Mezzora dopo, la telefonata che uno non vorrebbe mai ricevere…  poi la corsa con il mio Scarabeo verso casa, non rispettando alcun semaforo per fare prima. Cinque piani a piedi senza sentire la fatica e un tentato massaggio cardiaco con le lacrime agli occhi. Infine gli infermieri del 118 che sentenziano, dopo aver tentato l’impossibile, la fine di una storia senza lieto fine. Avrebbe potuto salvarsi, se avesse dato retta a mia mamma e mia sorella, che cercarono di convincerlo ad andare in ospedale ai primi sintomi del malore. Ma mio padre apparteneva a quegli uomini capoccioni, allergici ai medici e che -tutto passa con un bicchiere d’acqua-, perché così aveva detto a mia madre: “Dammi un bicchiere d’acqua che mi passa”.

 

La storia di mio padre

Pasquale Andreoli nasce il 17 dicembre del 1933 a San Martino, una piccola frazione di Sessa Aurunca in provincia di Caserta ai confini con il Lazio, figlio di Emilio e Ester . Il padre lo farà iscrivere all’anagrafe il 1 gennaio del 1934 perché già pensa a quando dovrà fare il militare, una volta si ragionava così. Pasquale è il primo di cinque figli, due maschi e tre femmine, una sorellina però morirà nel 1948, a otto anni, dopo aver contratto la poliomelite, purtroppo il vaccino non era ancora stato scoperto.

Ester, la mamma di Pasquale Andreoli, con in braccio la figlioletta Vanda, morta a otto anni a causa della poliomelite

Il padre è una guardia carceraria e dopo aver combattuto la guerra d’Africa prende servizio nel carcere di Locri in provincia di Reggio Calabria nel 1939. Rimarranno nella cittadina calabrese per ben sette anni, dove Pasquale conseguirà la licenza elementare. Certo Locri è un paese difficile sotto certi aspetti, e il padre se ne rende conto con il suo mestiere, così decide di lasciare e tornare nel suo paese, prima che il figlio possa prendere una brutta piega.

Apro una parentesi: mio padre mi raccontò che a Locri aveva conosciuto un ragazzino più grande di lui che chiamavano il gobbo, che non era uno stinco di santo. Mi disse che se fosse rimasto a Locri, probabilmente sarebbe stato risucchiato in giri molto pericolosi. Infatti quel ragazzino con la gobba divenne “Il Gobbo del Quarticciolo” ucciso a Roma in un conflitto a fuoco con i carabinieri nel 1944, anche se su di lui aleggiano leggende, e la sua storia ispirò anche il regista Carlo Lizzani che ne fece un film nel 1960, intitolato “Il Gobbo”.

Dopo un breve periodo di riflessione al suo paese, il padre decide di tornare a fare la guardia. Dato il suo ottimo curriculum viene subito riassunto nel carcere di Viterbo, ma dopo qualche tempo riesce ad avere il trasferimento in quello di Latina, facendo il cambio con un suo amico proprio di Viterbo. Intanto Pasquale, abbandonati gli studi inizia a lavorare, ha undici anni e una passione, l’elettrotecnica. Inizia a fare esperienza nel negozio di elettrodomestici dello zio Americo a Sessa Aurunca, dove vende, ripara e consegna la merce venduta. Per guadagnare qualche spicciolo in più, la sera fa l’operatore nel cinema del paese.

Pasquale Andreoli con un suo cugino, in sella alla sua Vespa con cui arrivò a Latina nel 1952

Intanto il padre nella nuova città si trova bene e poi incontra pure qualche suo compaesano, uno di questi è Paparcone che vende scarpe in via Eugenio di Savoia accanto a un negozio di elettrodomestici, dove stanno cercando un tecnico. Appena lo mette al corrente, Emilio telefona immediatamente al figlio, che senza perdere tempo, salta sulla sua vespa e si mette in viaggio per raggiungere Latina. È il 2 dicembre del 1952 quando arriva in città. Il primo con il quale fa amicizia è Danilo Carpanese che fa il ragazzo di bottega in quel negozio.

Trova una sistemazione insieme al padre, alle case popolari, al primo lotto, dove condivide il piccolo appartamento con altre dieci persone. Il giorno lavora e la notte studia, perché la quinta elementare non gli basta, ha voglia di migliorarsi. Si diploma per corrispondenza con  la Scuola Radio Elettra e apre un piccolo laboratorio in Piazzale Gorizia. Inizia il boom delle televisioni e lui monta in quel periodo migliaia di antenne in tutto il territorio pontino. Inizia anche a vendere gli elettrodomestici. Il primo negozio, insieme al fratello Aldo, lo apre in via Emanuele Filiberto, di fronte al garage Ruspi.

1958 il primo negozio di Pasquale e Aldo Andreoli in via Emanuele Filiberto. L’insegna in origine era “Audio e video”.

Un anno dopo, nel 1959, trasferiscono il negozio sotto l’Hotel Europa. Nel frattempo progetta e brevetta dei trasformatori e stabilizzatori, necessari per i televisori e gli elettrodomestici, contro gli sbalzi di tensione, perché la corrente non è unificata. Apre una piccola industria, dove produce i suoi progetti e li vende in tutta Italia, ma solo per pochi anni poiché, con la nazionalizzazione dell’energia elettrica il voltaggio diventerà unico a 220volts, e così è costretto  a chiuderla. Dopo quell’esperienza si dedica solo al commercio e, nel 1968, apre un negozio in Corso della Repubblica che diverrà un punto di riferimento per chi è appassionato di elettronica e hi-fi.

 

Il rapporto con mio padre

Lavorare con il proprio padre non è cosa semplice, ricordo le tante discussioni che finivano sempre con il mio torto e la sua ragione. D’altronde aveva avuto un padre molto severo e con noi figli cercava di esserlo meno, ma comandava lui e questo lo ribadiva sempre. Con gli amici era tutta un’altra persona, era affabile, generoso, di compagnia e anche di grande cultura, nonostante non avesse studiato. Una cosa mi riconosceva, le correzioni che gli facevo sui suoi scritti, mi ringraziava ogni volta.

Io in braccio a mio padre, nel furgoncino della ditta

Il mio rammarico è quel dialogo mancato, ci parlavamo attraverso gli altri, io mi lamentavo di lui e lui di me. Una cosa però ci accumunava e ci faceva dialogare serenamente, la passione per il cinema e l’arte che lui mi aveva trasmesso sin da bambino. Era talmente appassionato di pittura che aprì una galleria d’arte, sotto i portici, “l’Approdo”, e che tenne per una quindicina di anni.

Nella sua vita ha dato da lavorare a tante persone. A Latina ha portato la tecnologia ed è stato uno dei migliori tecnici degli anni cinquanta e sessanta, insegnando il mestiere alle generazioni successive. Inoltre ha fatto beneficenza sempre con grande discrezione senza mai vantarsi. Era un uomo di mondo e sempre elegante, l’unica sua vera debolezza era il fascino femminile. Beccato più di una volta in giro per Roma in buona compagnia, ma alla fine è morto accanto alle donne più importanti, la moglie e la figlia.

L’ultima immagine di mio padre. Pasquale Andreoli aveva 66 anni quando è venuto a mancare.

Se uno nomina l’anno 2001 a tutti tornano in mente le Torri Gemelle e la fine della Lira. Un anno che ha cambiato il mondo, sicuramente per molti non in meglio… a me senza mio padre è cambiato ancor di più, e dopo vent’anni è una mancanza che avverto ancora con la stessa intensità. E mi rendo conto delle sue tante ragioni e di tutti i miei torti, ma quando accade te ne accorgi solo dopo, e ti vengono in mente tutte le parole che avresti voluto dirgli e che non hai detto.

Per mio padre non chiedo intitolazioni, mi piacerebbe però che tutti gli imprenditori di Latina fossero ricordati per quello che hanno dato alla comunità. Magari istituire una giornata in loro memoria, insomma ricordarli come vengono ricordati i bonificatori e i fondatori, perché a loro si deve la crescita della città.