Giuseppe Pedà il panettiere generoso e coraggioso

Giuseppe Pedà il panettiere generoso e coraggioso

5 Settembre 2021 0 Di Emilio Andreoli

Ci sono persone che nei momenti di difficoltà collettiva si prodigano più di altre per il bene della comunità. La storia che sto per raccontarvi attraversa il periodo buio della guerra nella giovane città di Littoria, che fino a luglio del 1943 sembra essere stata graziata, mentre in tutta Italia si combatte e cadono bombe come fossero caramelle, Littoria sembra intoccabile, protetta dal cielo. Poi nel caldo pomeriggio del 18 luglio, dopo tre anni di conflitto, anche la prima città di fondazione viene violata. Un aereo dell’Air Force sgancia qualche bomba in periferia e sull’aeroporto, che viene semidistrutto. Da quel momento tutto cambia, la percezione della guerra diventa dura realtà, e molte persone cercheranno rifugio nei paesi vicini. Giuseppe Pedà fa il panettiere e con il suo pane, in quei terribili mesi, sfamerà tante persone rischiando molto con i tedeschi.

                                                                              

Mentre cerco di scoprire le prime attività della nostra città, scopro anche belle storie di altruismo e generosità. Quella che sto per raccontarvi l’ho trovata per caso. Sfogliando su Facebook, una settimana fa, mi sono trovato davanti una foto ingiallita. Per me che sono un appassionato delle storie di Latina, è stato come sentirmi un’ape sopra un bel fiore, dovevo assolutamente succhiare il nettare di quell’immagine. L’aveva pubblicata Pino Pedà e l’immagine era di suo nonno con un camice bianco, uno dei primi panettieri di Littoria.

Una volta c’era la teoria dei sei gradi di separazione, ovvero se volevi arrivare a una persona, ne dovevi contattare cinque. Oggi il grado di separazione si è ridotto a uno, vai sui social, chiedi l’amicizia e il gioco è fatto. Così ho chiesto l’amicizia a Pino Pedà, che mi ha risposto subito. Quando gli ho domandato di raccontare la storia del nonno, mi ha risposto che gli avrebbe fatto molto piacere. E così un paio di giorni fa mi ha accompagnato da suo papà Gianni, figlio del mitico fornaio Giuseppe.

Da quando scrivo della mia città mi rendo sempre più conto che in tantissimi, negli anni trenta, arrivarono dal sud Italia in cerca di fortuna, come raggiungere il Far West e cercare l’oro, poteva andare bene o anche male. Giuseppe Pedà, lasciando la sua Calabria, pensò che se fosse andata male avrebbe fatto ritorno a casa, dalla sua famiglia. Ma Giuseppe era un ottimista e in cuor suo sapeva che quella era l’opportunità della sua vita.

Il calabrese Giuseppe Pedà

Giuseppe Pedà nasce nel 1910 a Montebello Ionico, un piccolo paesino di alta collina in provincia di Reggio Calabria, terzo di cinque figli. Lo studio ovviamente non è contemplato in quel periodo e in quei luoghi. I figli, dai dieci anni in su, sono solo risorse per poter portare a casa un tozzo di pane. Giuseppe, appena adolescente, parte ogni santo giorno con il suo mulo per raggiungere una panetteria di Reggio Calabria, dove lavora come apprendista. Trentasette chilometri ad andare, in discesa, e altrettanti in salita per tornarsene a casa.

A Reggio Calabria conosce Italia, una ragazzina di quattordici anni che vive nel quartiere dove lui lavora, e se ne innamora. Dopo un anno lei rimane incinta e nel 1931, dopo essersi sposati, nasce la loro prima bimba, Caterina, e dopo un altro anno nasce pure la secondogenita, Antonietta. Giuseppe vorrebbe tentare la fortuna altrove, perché nel suo paese e nella vicina Reggio Calabria non vede grandi prospettive. La notizia che vicino Roma stanno per inaugurare delle città nuove lo spinge a tentare la fortuna in quelle zone. Parte da solo, perché con moglie e due figlie piccole non se la sente, è un viaggio lungo e al buio.

Italia Sergi, moglie di Giuseppe Pedà, con due dei suoi figlioletti

Siamo all’inizio del 1934, quando Giuseppe arriva a San Vito, una piccola frazione di Terracina. Mancano solo alcuni mesi alla fondazione di Sabaudia. Appena inaugurata, il 25 aprile del 1934, Giuseppe ha già trovato lavoro nel primo forno della piccola cittadina. Ed è proprio lì che gli si presenta una grande opportunità. Conosce in quella panetteria la signora Bellocchi, moglie del proprietario dell’unico mulino di Littoria, il signor Piattella, che sta cercando un bravo fornaio. Gli propone una società per aprire un forno a Littoria e lui senza esitazioni accetta l’offerta, anzi non gli sembra vero. Il forno lo aprono sulla circonvallazione vicino le case popolari, nell’attuale Piazzale Gorizia, all’angolo con via Filippo Corridoni nel 1935.

Giuseppe Pedà in Piazza del Popolo con quattro dei suoi cinque figli

L’attività va subito molto bene e così si fa raggiungere finalmente dalla moglie Italia con le sue due figliolette. A Littoria nasceranno Francesco, Gianni e Lina. Iniziano poi i tempi difficili della guerra e quando cominciano i bombardamenti intorno alla città, nell’estate del 1943, in molti cercano rifugio nei paesi dell’Agro Pontino. La moglie di Giuseppe e i suoi cinque figli si trasferiscono a Bassiano, mentre lui continua nel suo forno a fare il pane. E quando il cibo inizia a scarseggiare per tutti, Giuseppe non si tira indietro, regala il suo pane a chi è rimasto in città e ha fame, e manda quello che può a Bassiano, clandestinamente, con la corriera. Italia poi lo divide con altri rifugiati e con le persone del posto che hanno più bisogno.

A volte si trova faccia a faccia con i tedeschi e baratta la sua libertà cedendo il carico di cibo, ma quando la guerra si inasprisce, più di qualche volta, al passaggio dei tedeschi, è costretto a nascondersi nel forno della sua panetteria. Finalmente la guerra è alle spalle e Giuseppe riprende la sua attività a pieno ritmo e con i risparmi acquista un camion con il rimorchio per entrare nel mondo dei trasporti. Nel frattempo è tornato dalla guerra anche suo fratello Giovanni che gli da una mano. Nonostante si stia tornando faticosamente alla normalità, Giuseppe e Italia continuano a donare il pane a chi non ne ha. Questi gesti vengono notati dalle persone, e i due sono rispettati e molto amati in città.

Giuseppe Pedà con la sua famiglia al completo in un rilassante picnic

Purtroppo Italia si ammala e nel 1952 muore a soli trentasei anni e gran parte dei cittadini di Latina parteciperà, con dolore, ai suoi funerali nella chiesa San Marco. Giuseppe rimane solo con i suoi cinque figli, ma cerca di non buttarsi giù. Poi però negli anni sessanta succede che il suo camion guidato da un suo dipendente è coinvolto in un grave incidente stradale, dove muore una persona e un’altra rimane gravemente ferita. Il verdetto della causa sarà implacabile, Giuseppe perderà tutto, il forno, la casa e il camion, perché tutto è intestato a lui. Ma Giuseppe non è un tipo che si arrende facilmente, nel giro di poco aprirà un altro forno all’incrocio tra Corso della Repubblica e viale XVIII dicembre.

Giuseppe Pedà al centro con due amici e due suoi dipendenti, all’esterno del suo primo forno

Il suo ultimo forno lo aprirà nel 1970 in via Cavour, la parallela di via Emanuele Filiberto. Giuseppe morirà nel 1984, all’età di settantaquattro anni. Il figlio Gianni lo ricorda così:

Mio padre era un uomo molto generoso come lo era stata mia mamma. Anche dopo la guerra, avevano continuato ad aiutare le persone in difficoltà. Aveva un bel carattere, sempre positivo e sorridente, si rialzava sempre dopo le difficoltà, era scaltro e non mollava mai, sapeva adattarsi alle situazioni. Amava la vita, ma era un uomo che non amava le regole

Era dunque un anarchico?!

Sotto questo punto di vista era un anarchico. Ricordo che più di una volta non si fermò all’alt delle forze dell’ordine. Arrivava con le pattuglie che lo inseguivano, entrava dentro casa e mi diceva “vedi un po’ che vogliono questi” e io dovevo ogni volta sbrigare la faccenda. Una volta andammo ad accompagnare mia sorella Antonietta all’aeroporto di Fiumicino, perché lei viveva in Canada, in quegli anni ancora si potevano vedere dalle terrazze gli aerei che decollavano e atterravano, lui eluse tutte le sorveglianze e lo vedemmo in prossimità della scaletta bloccato dai poliziotti perché voleva salutare la figlia in partenza. Quando morì mia madre ebbe molte altre donne, ma per  rispetto della famiglia non ne portò mai una dentro casa

So che c’è anche un tabacchi Pedà, giusto?

 Sì, lo aprì mia madre in via Emanuele Filiberto, dopo la sua morte lo prese in gestione mio zio Giovanni, fratello di mio padre. Ora lo gestisce mia cugina Stefania

Dopo la morte di suo padre, vi hanno mai dato qualche riconoscenza per il suo operato?

 Sì, il 18 dicembre 1987 il sindaco Delio Redi consegnò una targa in memoria a mia sorella Lina

1987, il sindaco Delio Redi consegna una targa in memoria di Giuseppe Pedà alla figlia Lina

Sappiamo che a Latina soffriamo di memoria corta e allora è bene ricordare certi personaggi. Raccontiamo ai ragazzi di Giuseppe e della moglie Italia, della loro solidarietà, due persone speciali che non si sono mai tirate indietro per la comunità.

 

Ringrazio la famiglia Pedà per il racconto, e ringrazio l’amico Francesco Moriconi per le informazioni sui bombardamenti a Littoria.