Domenico Berardi, l’indimenticabile preside del “Vittorio Veneto”

Domenico Berardi, l’indimenticabile preside del “Vittorio Veneto”

23 Ottobre 2022 0 Di Emilio Andreoli
  1. In questi giorni di contrasti tra studenti, professori e presidi, ho ripensato ai tempi miei, a quelli della scuola. Momenti indelebili, e se chiudo gli occhi avverto ancora il chiacchiericcio dei mie compagni di classe. Provate, potrebbe capitarvi la stessa magia. Ricordo che i presidi erano quasi tutti autoritari. Difficilmente si poteva discutere sulle loro decisioni e se andavamo a lamentarci a casa rischiavamo pure qualche rimprovero, se non peggio. A proposito di questo, vi voglio raccontare di un preside degli anni settanta dell’Istituto Vittorio Veneto. Si chiamava Domenico Berardi, ma tutti lo chiamavano Memmo. Lui non fu un preside autoritario, ma un autorevole preside e ancora oggi viene ricordato, con grande affetto, da studenti e insegnanti di quel periodo.

L’ultima lotta che si sta consumando, al liceo scientifico Majorana di Latina, è quella dell’uso del cellulare durante le lezioni. Non voglio però entrare nel merito della questione. Ricordo che noi combattemmo per l’uso delle calcolatrici scientifiche. Cambiano i tempi, ma le lotte rimangono e, da ex studente, faccio un in bocca al lupo agli studenti, ma anche agli insegnanti e dirigenti, affinché venga raggiunto un compromesso, perché la vita è fatta di compromessi, altrimenti si innescano guerre e le guerre fanno male a tutti.

Ricordo il mio ultimo preside, all’Istituto Galileo Galilei, il prof Vito Pellegrino e a quanto fosse severo. Quando passava lui non volava una mosca. Poi, un giorno di carnevale del 1978, ci prendemmo la rivincita e ne combinammo una delle nostre. A quei tempi c’era un giornale satirico che si chiamava “Il Male” che diffondeva notizie false, ma molto credibili. Insomma le prime fake news del secolo, solo che erano su carta stampata. Quel giorno, in prima pagina, c’era la notizia dello scoppio della terza guerra mondiale. Andammo di corsa dal preside e lui rimase shoccato.

Aveva abboccato. Ci disse di prepararci per un’assemblea generale. Dopo mezzora, però, temendo la sua reazione, decidemmo di confessare lo scherzo, in fondo era carnevale. La prese a ridere, fortunatamente. Invece, in quegli anni settanta, i miei amici che frequentavano il ragioneria al Vittorio Veneto, parlavano molto bene del loro preside, Domenico Berardi, e io li invidiavo. Quelli che erano capitati nel mio istituto erano stati tutti molto rigidi.

Domenico Berardi, l’autorevole preside del Vittorio Veneto

Domenico Berardi nasce l’11 giugno del 1920 a Tarano Sabina, un piccolo paesino in provincia di Rieti. Ultimo di sette figli, rimane orfano di padre molto presto. Frequenta le scuole nel paese confinante, Montebuono, e per raggiungerle percorre più di qualche chilometro a piedi. Nel 1934, dopo le elementari e l’istituto tecnico inferiore, si trasferisce con due sorelle e due fratelli a Littoria, perché tutti e quattro sono impiegati nell’ufficio postale della nuova città. L’unica persona che conoscono a Littoria è il dottor Vincenzo Rossetti, perché ha esercitato la professione nel loro paese di origine.

Per le superiori si iscrive a ragioneria, al Regio Istituto Tecnico Vittorio Veneto appena inaugurato dal presidente del Consiglio del Regno d’Italia, Benito Mussolini. Memmo, così lo chiamano gli amici e in famiglia, ama studiare e così, dopo il diploma, si iscrive all’università nella facoltà di Economia e Commercio a “La Sapienza” di Roma. Riesce a laurearsi durante la seconda guerra mondiale e, il 24 aprile del 1946, diviene commercialista. Sarà il numero uno dell’albo e tra i fondatori dell’ordine dei commercialisti di Latina. Lo stesso anno verrà assunto nel comune di Latina, come segretario comunale.

Nel 1948 è anche assistente universitario, lo sarà per un anno. Subito dopo Inizia ad insegnare nella scuola che ha frequentato da ragazzo, il Vittorio Veneto, dove insegna ragioneria. Nel 1951 è ancora in forza nel comune di Latina. Ormai ha trentuno anni e non è ancora fidanzato, ma un bel giorno ecco la scintilla…

Memmo Berardi e Fioretta Boschini

Fioretta Boschini, vive a Cisterna di Latina, dove il papà è arrivato nel 1929 dal Veneto. È un imprenditore: si è occupato degli scavi dei canali per la bonifica dell’Agro Pontino. Fioretta con lo studio è molto precoce e a diciassette anni è già insegnante. Insegna a una scuola serale a Le Castella, una frazione di Cisterna. Una sera del 1951, mentre sta per prendere la corriera per tornare a casa, dopo aver fatto lezione, inciampa in una delle tante pozzanghere e ci finisce dentro. Quando il padre la vede zuppa e disperatamente triste, le promette che la mattina seguente la porterà con se a Latina, per fare un giro negli uffici del comune.

Ed è proprio con Berardi che il papà ha un appuntamento. L’incontro sarà un vero colpo di fulmine, tra la giovane Fioretta e il segretario comunale. Si sposeranno presto e avranno cinque figli, Ugo, Maria, Elisabetta, Marco e Silvia. Nel 1953 lascia il lavoro al comune e prende l’incarico al Consorzio di Bonifica. Il suo compito è quello di organizzare gli uffici, trasferiti da Roma a Latina. Negli anni sessanta Memmo si darà alla politica. Sarà eletto nelle fila della Democrazia Cristiana, ma come indipendente e, dal 1964 al 1967, verrà scelto dal consiglio comunale come vice sindaco di Guido Bernardi.

Il volantino politico in cui si invita a votare Domenico Berardi. Singolare la motivazione del voto

Terminata l’esperienza politica e divenuto insegnante di ruolo, nel 1970, è il nuovo preside dell’Istituto Tecnico Vittorio Veneto. Lo sarà per sette anni. Nel 1977 lascerà definitivamente la scuola perché la nuova legge non consente più agli insegnanti di esercitare anche la professione. Lui, a malincuore, farà la sua scelta: la professione. Però rimarrà talmente legato a quell’Istituto che l’anno successivo fonderà l’Associazione Vittorio Veneto, per organizzare incontri culturali, sociali e gite nei borghi d’Itali. Ma la parte più emozionante sarà l’incontro annuale degli studenti diplomati trent’anni prima.

 Memmo Berardi verrà a mancare il 20 aprile del 1996, a causa di un malore improvviso dopo quattro giorni di agonia.

L’incontro con Fioretta Boschini

Incontro Fioretta nella sua bella casa immersa nel verde. Con alcune persone l’empatia è immediata e lei   mi colpisce subito. È una donna forte e, nonostante i suoi novant’anni, ha ricordi nitidi. E non mi stupisce che con il cellulare navighi su Internet e usi Whatsapp. Poi qualcuno dice che gli anziani non debbano più votare e rimanere in casa fermi e immobili, quando invece andrebbero considerati patrimonio dell’umanità.

Il suo contatto l’ho avuto dal mio gancio preferito, dalla prof Giuseppina Caddeo. Ma è stata Rita Guariso, nipote della maestra Dissette di cui ho raccontato poco tempo fa, a rinfrescarmi la memoria e a consigliarmi di ascoltare Fioretta. È proprio vero, dalle storie nascono altre storie.

Allora Fioretta, parliamo di questo grande amore con Memmo. Dopo che vi siete conosciuti nel 1951 quando vi siete poi sposati?

 Il nostro è stato un amore travolgente, se non fossi andata con mio papà quella mattina, nel suo ufficio, non lo avrei mai conosciuto. Io non credo al destino, ma credo alle circostanze, alle coincidenze. Ci siamo sposati lo stesso anno e ci siamo amati tutta la vita

Avete avuto cinque figli, lei insegnava e suo marito svolgeva diverse attività. Come riuscivate a conciliare gli impegni?

Inizialmente abbiamo avuto il supporto dei miei genitori. E poi ci siamo organizzati. Certo il carico della famiglia, da sempre, è maggiormente sulle spalle delle donne, così lo è stato anche per me, ma non mi sono mai lamentata. Con mio marito c’era un tacito accordo, e quindi non abbiamo mai avuto problemi. Ognuno svolgeva il suo ruolo, anche se l’ho sostenuto molto nelle sue scelte. L’unico suo hobby era la pesca

Mi racconti di Memmo come uomo e insegnante

Memmo era un uomo carismatico, la sua più grande virtù era quella di saper ascoltare. Con i giovani ci sapeva fare, ascoltava le loro problematiche e dispensava consigli a tutti. Non alzava mai la voce, perché le persone autorevoli non hanno bisogno di urlare per farsi rispettare. E lui era così e per questo molto rispettato, ma soprattutto amato dai suoi allievi e dai suoi colleghi. Inoltre era generoso e sensibile verso chi perdeva il lavoro. Si prodigava sempre per trovare loro altre occupazioni

E con i figli?

 Con loro cercava sempre il dialogo. Affetto e rispetto viaggiavano di pari passo. Consideri che non ho mai sentito dirgli una parolaccia, neanche quando perdeva la pazienza

So che gli ultimi anni della sua vita sono stati difficili da affrontare

Nel 1993 perdemmo nostro figlio Marco, aveva poco più di trent’anni. La perdita di un figlio è inaccettabile  e Memmo rimase profondamente segnato da quell’immane lutto. Ovviamente lo fu anche per me, ma io cercai di reagire e sostenerlo. Dopo quattro anni purtroppo ho perduto anche lui

Marco Berardi

Dedico questo racconto a Marco e Alessia Berardi. Con Marco ci eravamo conosciuti negli anni settanta al lido di Latina dove noi, ragazzi di allora, la sera ci riunivamo in una grande comitiva nello stesso bar. Marco era un ragazzo straordinariamente sensibile a cui non si poteva non voler bene. Alessia invece, figlia di Ugo, l’avevo conosciuta per via della mia labrador che feci accoppiare con il suo. Una bella ragazza piena di talento. Recitava, nonostante la sua giovane età, nella compagnia di Luca Barbareschi. Purtroppo nel 2007, a soli venticinque anni, un malore l’ha portata via dai suoi cari.

Alessia Berardi

Ringrazio Fioretta, persona molto riservata, per avermi aperto la porta dei suoi ricordi.