Severino Molon, l’artigiano delle saracinesche

Severino Molon, l’artigiano delle saracinesche

19 Marzo 2023 2 Di Emilio Andreoli

Come mi ero ripromesso, ho frugato nella memoria alla ricerca di qualche altra figura storica, nel mondo dell’artigianato latinense. Qualcuno l’ho già raccontato. Mi vengono in mente: Pozzana, Govoni e Dalla Libera per le biciclette. Gavazzi e Bulgarelli per i barbieri. Il calzolaio Di Lorenzo. I pasticcieri: Figini, Rizzo e Ragusa e altri ancora. Gli artigiani, come i commercianti, hanno svolto un ruolo sociale importante. Raccontare loro è un po’ come raccontare un pezzo della mia vita. Per farmi venire qualche idea ho pensato a quando avevo l’attività. In effetti mi sono ricordato di aver già raccontato del lavavetri Gianni Merlo. Ma un’altra figura particolare, a me cara, è stata quella di Severino Molon, detto Nino, che aggiustava le serrande di quasi tutti negozi di Latina.

Nella vita lavorativa precedente, ho avuto modo di incontrare decine di migliaia di persone. Lavorare in negozio mi ha consentito di conoscere storie e incontrare tanti personaggi. Per me è stato come frequentare l’università. La società latinense l’ho studiata a fondo. In cinquant’anni ho servito persone analfabete, ma anche molto istruite. Devo dire che tutte hanno accresciuto il mio bagaglio culturale, pure le più umili. Tra i clienti famosi ricordo il maestro Franco Califano, l’attore teatrale Giorgio Albertazzi, miss Italia Danny Mendez

Ricordo con particolare affetto, gli artigiani che venivano per la manutenzione ordinaria e straordinaria del negozio, sia in Corso della Repubblica che in via Tommaseo. Persone che ho conosciuto sin da bambino. Ricordo Gianni Merlo, che lavava le vetrine ogni settimana. L’elettricista Giorgio Callegari che si è occupato per cinquant’anni della manutenzione e adeguamento dell’impianto elettrico. Il muratore di Sezze Enzo Morichini, che ha realizzato le modifiche del negozio, sotto l’occhio attento del grande architetto, non architetto, Tonino D’Erme. Poi c’era Nino Molon che riparava le saracinesche.

Severino Molon nella sua Fiat 1100

Proprio di Nino Molon vi voglio raccontare: una figura a me cara e particolare, rimasta viva nella mia memoria. Sembrava uscito da un fumetto di Tex Willer. Cappello in testa, sigaretta MS, sempre all’angolo della bocca anche quando era spenta. E poi quel dialetto veneto che solo i veneti riescono a capire, oltre noi latinensi di origine diverse, perché cresciuti con tutti i dialetti italiani. Latina, città d’Italia più di ogni altra.

Severino Molon detto Nino

Severino Molon nasce il 14 marzo del 1926 a Lendinara in provincia di Rovigo. I genitori, Francesco e Maria, sono agricoltori, ma la povertà del primo dopoguerra in Veneto è terribile e nel 1932 si trasferiscono nell’Agro Pontino, dove gli hanno assegnato un podere dall’Opera Nazionale Combattenti nella zona chiamata Pantanaccio, periferia adiacente alla nuova città di Littoria. Severino, detto Nino, è il secondo di sette figli, tre maschi e quattro femmine, tra queste, una chiamata Littorina.

Nino per aiutare in campagna i suoi genitori è costretto a rinunciare alle scuole. Ma quel lavoro lo fa con sofferenza, per un problema olfattivo. I forti odori di campagna, soprattutto quelli che arrivano dalle stalle, gli provocano addirittura dei mancamenti. Dopo la seconda guerra mondiale la vita riprende, ma il podere dei Molon è semidistrutto dalle cannonate. Nino si rimbocca le maniche e con il carretto porta le merci in giro per la città e inizia anche a fare lavoretti edili che lo porteranno ad aprire una piccola impresa di costruzioni. A Latina si costruisce in continuazione e il lavoro non manca.

Nino Molon con la moglie Edda, quando Latina era tutta campagna e poderi

Nino, oltre a lavorare, partecipa alle feste organizzate dai veneti dell’Agro Pontino, dove si balla e si canta per non dimenticare la propria terra di origine. Proprio in uno di quegli incontri conosce Edda, una ragazza veneta, arrivata da Sermoneta. Dopo un breve periodo di fidanzamento, nel 1951, si sposano. Proveranno a fare una femminuccia, ma avranno cinque maschi: Tonino, Angelo, Francesco, Dante e Alessandro.

È il 1970, quando decide di chiudere l’impresa edile. In città sono arrivati i grandi costruttori e Nino preferisce non rischiare, sa che non riuscirebbe a competere, e quindi decide di cambiare lavoro. In quegli anni passati nell’edilizia ha avuto modo di conoscere molte persone, tra queste alcuni vigili del fuoco che dopo l’orario di servizio, arrotondano con un secondo lavoro. Chi fa l’idraulico, chi il muratore e chi va a riparare serrande nei tanti negozi aperti in città, tra questi Andrea che è un suo caro amico.

Nino Molon e la moglie Edda, con uno dei figlioletti

Purtroppo Andrea si ammalerà e non potrà più girare per riparare le saracinesche. Così tutti i suoi lavori li passa a Nino, perché sa che ha cinque figli e ha tanto bisogno di lavorare. Con i primi guadagni compra una Fiat 1100 grigia scura. Sul portapacchi lega la scaletta e nel portabagagli mette le cassette degli attrezzi. Con il passaparola il lavoro, in breve tempo, si moltiplica. A volte, porta con se il figlio Francesco ancora ragazzino per farsi aiutare e a insegnargli il mestiere.

Alla fine degli anni settanta, Francesco va a lavorare a tempo pieno con il papà. Acquistano un furgone nuovo e lo allestiscono all’interno con scaffalature in legno per separare tutti gli attrezzi. All’esterno la scritta disegnata da Rodi pubblicità, azienda storica nel settore pubblicitario a Latina.

Nino Molon con uno dei suoi figli appoggiato alla sua mitica Fiat 1100 grigia scura

Negli anni ottanta e novanta molti negozi iniziano a togliere le serrande per sostituirle con i vetri antisfondamento. Potrebbe iniziare un periodo di crisi per Nino e Francesco, ma loro sanno lavorare bene e si assicurano il lavoro con le manutenzioni degli immobili INA e anche di alcune banche, degli uffici postali e i due consorzi, quello Agrario e quello di Bonifica. Poi negli anni novanta, i nuovi ladri useranno tecniche più brutali per entrare nei negozi. Per sfondare le vetrine blindate, utilizzano le auto come ariete e diversi commercianti faranno marcia indietro, tornando alla cara e vecchia saracinesca.

Nino andrà in pensione nel 1992, anche se seguirà saltuariamente il suo lavoro per un altro paio di anni. Poi si dedicherà alla campagna, ma senza stalla che tanto l’ha fatto soffrire da giovane. Il figlio Francesco, tuttora, segue le orme di suo papà, venuto a mancare il 29 aprile del 2005.

Francesco Molon nel suo ufficio di rappresentanza

L’incontro con il figlio di Nino, Francesco Molon

Io e Francesco Molon siamo coetanei, ci conosciamo da ragazzini. Ricordo che accompagnava suo papà e gli passava gli attrezzi del mestiere. Sembra incredibile, ma sono passati più di cinquant’anni. Mio padre si è sempre servito da Nino e io ho continuato a servirmi da Francesco. Ho ancora in mente la voce di mio padre, quando si bloccava una delle serrande e mi diceva: “Chiama subito Molon”. Telefonavo alla signora Edda e a stretto giro rintracciava suo marito, al lavoro in altri negozi. Non avevamo i cellulari, però alla fine Molon arrivava presto, con il cappello in testa e l’immancabile sigaretta all’angolo della bocca.

L’ufficio di rappresentanza di Francesco Molon in Piazza Aldo Moro 47

Francesco è sempre indaffarato. Per incontrarlo ho dovuto attendere un paio di settimane. Appuntamento al bar Poeta per l’intervista di rito con carta e penna, come i cronisti di un tempo. Lui meravigliato mi chiede: “Ma non registri?”. Ma io, solo scrivendo con la penna riesco a percepire le emozioni, anche se scrivo così male che a volte non riesco nemmeno a capire quello che ho scritto.

Francesco mi ricordo di te, in pantaloncini corti, quando portavi gli attrezzi a tuo papà

“E già, ne sono passati di anni. Andavamo sempre a lavorare in pantaloncini corti, poi abbiamo deciso di mettere quelli lunghi perché volevamo essere più professionali”

Toglimi una curiosità, tua mamma era veneta, perché viveva a Sermoneta? I veneti stavano tutti in pianura.

“Nella famiglia di mia mamma erano tutti antifascisti e in città il podestà gli rendeva la vita difficile, per questo si spostarono a Sermoneta e quindi vivevano lì”

Lavorare con il proprio padre è sempre complicato, lo è stato anche per te?

“Certo che sì. Se fosse stato per lui avremmo girato ancora con la Fiat 1100 grigia. Non immagini quanto dovetti insistere per comprare il primo furgoncino e attrezzarlo per risparmiare tempo nella ricerca degli attrezzi e dei pezzi di ricambio. Mio padre aveva paura di investire. Ci siamo scontrati molto, ma credo sia una cosa normale, quando il confronto avviene tra generazioni diverse”

Ricordo che parlava solo veneto

“Sì, a casa parlavamo solo in veneto. Quando andai in prima elementare, ricordo che non spiccicavo una parola di Italiano. Ero in una classe di soli maschi. Poi alle medie mi ritrovai in una classe mista e per me fu strano. Ero molto timido, ma poi passò subito”

Come si è evoluto il lavoro intrapreso da tuo padre e proseguito da te?

“Ora ho un ufficio di rappresentanza, per organizzare al meglio il lavoro, e un deposito per i furgoni che contengono gli strumenti del mestiere. Insomma mi sono modernizzato, ho anche un sito Internet dove presento l’azienda”

 La ditta si chiama sempre MO.SER.?

 “Sì, si chiama sempre così, acronimo di Molon serramenti”

Quali insegnamenti ti ha lasciato tuo padre?

“Mio padre era un uomo che non riusciva a stare fermo, doveva sempre fare qualcosa e io ammiravo quella sua forza. A me ha insegnato tanto, Il mestiere prima di tutto e l’umiltà.

 

Questa è la Latina laboriosa che mi piace raccontare, quella di padre in figlio, di generazione in generazione. Che sia un artigiano, un professionista o un commerciante, è la storia della nostra città.