Smart Factory 4.0: Latina scopre l’innovazione

Smart Factory 4.0: Latina scopre l’innovazione

1 Luglio 2019 0 Di Fatto a Latina

Il convegno Smart Factory 4.0 tenutosi a Latina lo scorso 26 giugno, si è aperto con le parole del sindaco Coletta che ha cercato di alleviare i presenti presi dal caldo di questi giorni con una battuta innovativa:

“I condizionatori sono fatti per rompersi d’estate!”

Dopo l’iniziale battuta, il sindaco è entrato nel merito dell’incontro:

“Ricerca e innovazione sono due termini abusati. In Italia entrambi non fanno la giusta dignità. Qual è il futuro che si vuole dare a questa giovane città? È fatta di giovani under 25, dobbiamo dare loro voce, è compito della politica cercare di riuscire a fare sistema. Forse questo incontro è il primo step per un futuro più innovativo.”

Grandi menti della nuova industria 4.0 hanno cercato di portare questo concetto nella bellissima sala Enzo De Pasquale del Comune di Latina.

Smart Factory 4.0

Il primo panel sulla trasformazione digitale di Smart Factory 4.0 mi ha incuriosito particolarmente. Cosa succede quando l’uomo incontra il robot? Giovanni Amendola, professore universitario di matematica e informatica ci pone un’altra domanda: come ragiona un’intelligenza artificiale? Perché bisogna partire dalle basi per comprendere il resto.

Continua:

“Beh ma come ci appare? Oggi, giocano con noi, fanno parte di quiz televisivi, riconoscono la nostra voce, guidano le nostre auto, fanno dibattiti, riescono ad imitare anche le opere artistiche e musicali ma ancora più straordinario, aiutano nella diagnosi del cancro ai polmoni.”

Ma come fanno a fare ciò? Giovanni Amendola ci spiega che ci sono due tipi di pensiero:

  • il ragionamento;
  • l’apprendimento.

Il primo è la deduzione logica, si parte dal concetto generale per arrivare a delle affermazioni logiche; il secondo è l’apprendimento automatico dove si fa uso di tecniche statistiche che permettono di aumentare la probabilità che una cosa accada grazie agli sbagli commessi. In pratica è come se da dentro un sacchetto peschiamo solo biglie bianche, alla fine diamo per scontato che nel sacchetto siano tutte bianche!

Ma questo automatismo non ha una conoscenza certa, ma solo la probabilità che lo sia.

Il professor Amandola fa riflettere i presenti:

“Il punto è che entrambe sono basate su algoritmi che passano da uno step all’altro senza dubbi di errore.”

Così Kurt Godel negli anni novanta dimostra che la matematica non per forza dimostra una coerenza, dunque può essere contraddittoria e dimostrare l’errore come vero.

Dunque è possibile un’intelligenza artificiale non fondata sulla logica?

Beh no! Ma la “stanza del cinese” ci da la possibilità grazie a dei dati di comprendere ciò che non si comprende. L’uomo nella stanza non capisce il cinese ma riesce a manipolare ugualmente i simboli perché ha i dati e le informazioni per manipolarli. Un computer è semplicemente un manipolatore di simboli, che agisce a livello di sintassi.

Quello che manca per poter dire che c’è uno stato di conoscenza, è la semantica, la comprensione e interpretazione dei simboli della sintassi (nel nostro caso gli ideogrammi cinesi). Ma questa macchina è solo la somma dei suoi componenti non una struttura olistica (fatta di componenti che si possono unire e dividere senza ripercussioni) come la razionalità umana fatta di pensieri sensibili e non calcolatori. Nella macchina non c’è interazione tra mente (software) e corpo (hardware). Così nasce il Connessionismo basato sulla scoperta di teorie fisiche dove l’ordine emerge dal caos. L’ordine viene misurato grazie all’entropia dove non si comprende più in modo metaforico ma operativo per esperimenti cognitivi della mente. Ciò è possibile solo grazie all’elemento biologico come luogo effettivo di auto costruzione e produzione di informazioni dove mente e corpo sono interconnesse.

Questa è la capacità di cambiamento e rapporto con l’esterno, detta anche intelligenza artificiale.

Sicuramente come ci dice Mirco Bernardo, docente di filosofia a Tor Vergata, nella natura c’è un elemento artificiale, il linguaggio. Dobbiamo pensarla come una biotecnologia già dentro di noi. È un tipo di lavoro iscritto nella nostra natura poiché la mente umana ha “i fondi”: partendo da pochi elementi può creare sistemi infiniti. È una Teknè (arte) iscritta nella nostra biologia.

Dobbiamo ispirarci alla nostra Teknè per creare prodotti infiniti da elementi finiti.

Tutto questo però comporta dei rischi. Cinzia Ciacia, docente universitaria a Roma ce li espone:

“Siamo in una fase di transito molto delicata. Con queste nuove tecnologie digitali c’è il pericolo di un sovraccarico cognitivo e dell’isolamento. Ecco perché bisogna puntare sul lavoro umano; empatia, creatività e lavoro di squadra sono i principali pilastri del lavoro aziendale del ventunesimo secolo. Bisogna formare ad una flessibilità organizzativa, incentivare alla collaborazione e partecipazione, coinvolgere e mettere al centro della produzione gli utenti”.

Tutto questo sicuramente porterà una maggior qualità e creatività nel lavoro, più flessibilità negli orari e un minor impatto ambientale, nonché la possibilità di lasciare alle macchine i lavori più automatizzati per dedicarsi alla creatività e alla comunicazione.

Il compito ora è di mettere al centro le persone.

Questo l’ha capito molto bene l’azienda NetHospital che da diversi anni è alla ricerca di nuove innovazioni interamente dedicate ai problemi degli utenti.

La nuova medicina P4 proposta è la Sensory Suite-2020 cioè le tecnologie indossabili.

Queste tecnologie funzionano grazie a dei biomarcatori digitali con lo scopo di creare reti di tele-assistenza multidisciplinare. Una medicina virtuale basata secondo il modello Hub e Spoke: predire, prevenire, personalizzare, partecipare, sono queste le P4.

Lo Smart Sock funziona su questi principi; essa controlla la malattia cronica venosa e non grazie ad un app. Si parte da un building block che comprende le tipologie di pericolo grazie all’analisi VHS (test che riesce a rilevare qualsiasi anomalia ed infezione sanguigna) per poi grazie ad un Sensorized Sock, dove in un calzino viene inserito un sensore si possono monitorare e prevenire malattie croniche e infezioni.

Antonio Pallotti, giovane ingegnere, ci ha mostrato come questa è già una realtà allargata nella medicina personalizzata e nella sicurezza sul lavoro. Questi monitoraggi fatti di sensori rilevano il deterioramento duttile riuscendo a rilevalo e prevenirlo.

Il dato estratto viene memorizzato nella memoria locale e sulla piattaforma del medico di base o specifico. Per il momento il modello è a 11 e 32 sensori, ma essi sono posti sui vestiti senza intralciare le capacità motorie. Il movimento può essere monitorato in un tempo personalizzabile per poter definire anche l’apprendimento cognitivo; utile a rilevare stanchezza sul lavoro e distrazioni che potrebbero essere pericolose.

Beh tutte tematiche interessanti che non vediamo l’ora di vedere nelle nostre case. Ma il problema che turba le notevoli menti di questo convegno sono le persone che avranno modo di acquisire questo patrimonio futuro.

Cosa può fare la formazione per il passaggio 4.0?

Vindice Deplano sa bene quanto ora si fondamentale l’istruzione al futuro, dice:

“Ci troviamo sulla soglia di un esponente cambiamento. Ora serve tanta formazione e durerà pochissimo la sua utilità.

Le competenze del futuro sono basate su altre competenze, tutte si intersecano e combinano diventando competenze staminali. Bisogna organizzare una formazione veloce che punta al centro della vera competenza, ora abbiamo le tecnologie per apprendere tutto questo.”

Come Deplano, il presidente di Unindustria Giorgio Klinger sostiene:

“L’esigenza delle aziende riguardo le assunzioni ora sono saper parlare l’inglese e che chi si candida sia disposto a viaggiare per il mondo. Queste due inclinazioni danno l’immagine di una disposizione mentale pronta al cambiamento.”

Dunque ora la scuola deve fare il contrario di quello che ha fatto per la società industriale. L’uomo deve ritrovare la sua cultura e creatività, dove la comunicazione è fondamentale per il contatto con gli altri.

Conclude il professore e rettore Enrico Garaci:

“La scuola deve creare persone ricettive e pronte all’interdisciplinarità. Con piccoli progetti di gruppo con competenze differenti si può creare una realtà di condivisione tra tematiche unite per un progetto”.

L’ addestramento perciò ora è necessario per le nuove strumentalizzazioni. La sfida indubbiamente rimarrà quella di portare questo concetto nelle scuole italiane.