
Le piacentine a Terracina, le napoletane a Fondi, chi dà le carte a Latina
15 Ottobre 2019Passo davanti ad un bar, di quelli della periferia di Latina, di quelli dove stai e non passi. In centro il bar è rapido, è tempo rubato, in periferia è tempo perso e per questo intesso: “busso”, “liscio”, “triscio”, “sola”. Mi rimbombano nella testa, sono accanto a mio padre, in una osteria di Sezze, che mi ha mandato a prendere il gelato, sono vicino a lui ora, sento il dolce aspro del limone, la bellezza del cioccolato. Si arrabbia papà con l’altro giocatore, non ha capito che aveva tre carte dello stesso seme, che ha calato la carta non richiesta e l’onta è il disonore della sconfitta.
Guardo i semi, sono delle carte piacentine, l’aquila di denari è grossa ha il buco in mezzo, l’asso di spade è un putto e la spada è più grande di lui, poi corona di fiori e non di spine, è angelo custode nella vittoria, è angelo di spade e morte quando perdi. Puzzavano le carte di sudori antichi, di destrezza contadina, di intesa di giocatori difficili. Non me ne vogliate è finito il gelato, avevo girato poco e quell’osteria di montagna mi pareva il caffè Pedrocchi di Padova che mi raccontava mia nonna, anzi era di più. Il mondo era quelle carte, quei semi e papà a carte era il migliore, semplicemente.
Poi capitai per caso poco lontano da casa, una manciata di minuti in auto e non vado veloce, una strada diritta che ci provavano le bisiluro, la moto di Taruffi, mi fermo al bar a Fondi, anche lì giocano i contadini a carte, con lo stesso impegno, ma? Ma le carte erano diverse: l’asso di denari è aquila ma a due teste e i buchi nel corpo sono due, le figure di bastoni sono uomini aggraziati da corte. Dio mio giocavano con altre carte, carte differenti.
Non capivo perché? Avevo passato un confine, era in un altro posto così vicino a me da essere lontanissime, giocavano con le carte napoletane, da me con le piacentine. Era il confine tra le terre del papa, aquila ed una testa, e quelle del re di Napoli che era aquila ma c’era anche l’aquila di dio e di sigilli ne metteva due.
Stesso gioco, accento diverso ma chi dava le carte non era il medesimo capo, era un’altra capitale. Papà mio era il migliore con le piacentine, ma si poteva giocare con altre carte. Il mondo era più difficile di quella mia breve distanza, anche il gelato era diverso ordinai la vaniglia, poi mille e mille gelati. Ora sono qui, periferia di una grande città il gelato sa di tanto, ma non di amore, a giocare si impegnano tanto, ma io ho visto giocare veri campioni… forse. Sono ritornato bambino nel paese delle piacentine, certo le napoletane avevano più grazia, ma “busso” con la carta sbattuta sul tavolo con quelle del Papa di carte veniva meglio.
Nella foto le carte piacentine