Tavoletta: il male del cittadino “la qualsiasi”

Tavoletta: il male del cittadino “la qualsiasi”

17 Novembre 2019 1 Di Fatto a Latina
Ci ha scritto una nota Nicola Tavoletta, direttore delle Acli di Latina. Nel pubblicarla colgo l’occasione per ribadire che questo è un giornale aperto al contributo di tutti, anche da chi professa idee dioverse dalla nostra. Ho sempre avuto in poca considerazioni quanti immaginano come libertà il proprio diritto e la negano al prossimo, si è liberi di dissentire. Noi su questo giornale ci siamo dato solo un obbligo: discutere  (L.G)
Caro Lidano,
seguo il tuo giornale e leggo con attenzione e simpatia i vostri articoli e quindi ti offro un breve testo per contribuire alle riflessioni che promuovete. Leggo in continuità sulle vostre pubblicazioni l’invocazione alla ricerca della misura e del buon senso. Spesso celebrate queste due virtù evocando la storia lepina, altre volte i nostri veri Padri Nobili della umanità.
È vero, condivido la vostra linea editoriale, perché quando segnalate la mancanza della “misura”, evidenziate la incapacità di interpretazione del reale prima di tutto da parte della nostra comunità intera e poi dei politici. Una difficoltà che ci consuma nell’oggi, senza prospettiva per il domani. C’è un’altra questione che mina la vita politica e amministrativa attuale e che provo appunto a porre nel confronto: la delegittimazione che i politici e i media hanno posto in essere dal 1992 nei confronti del servizio politico, della democrazia e delle Istituzioni. Un killeraggio quotidiano per accattivare elettori e telespettatori, ma che ha avvelenato e addormentato quella capacità propria dell’essere umano di avere ed esercitare quella stessa misura che invocate. Quella misura che possiamo chiamare discernimento e che realmente è funzionale a perseguire il nostro benessere, diradando le nebbie illusorie della seduzione del consenso e della popolarità. Spesso la ricerca attuale è addirittura nella soddisfazione della celebrità piuttosto che nel consenso stesso.
Quasi fossimo assetati di illusioni. Non si diventa sindaci, parlamentari o rappresentanti del popolo per sperimentare la celebrità mediatica, ma per onorare le istituzioni, provando a farle funzionare. Non si è elettori, custodi di un diritto difeso con la vita, accusando e “decapitando”, ma provando a discernere, interrogando, cercando di riflettere e interpretando il contingente con una idea generale. Per anni abbiamo sostenuto l’opinione che fosse un bravo politico colui che esprime un linguaggio comune, che si rappresenta come uno di noi, che è lontano dalle poltrone e dal palazzo. Abbiamo smontato pezzo pezzo l’autorevolezza delle istituzioni e delle sue funzioni derubricando tutto a baracconi e teatrini.
Purtroppo ci ritroviamo, così facendo, nella attuale difficoltà di interpretare il presente in una prospettiva futura o addirittura di risolvere il quotidiano. Il mio pensiero è che l’elettorato attivo e passivo va esercitato con il discernimento che lo si interpreta solo avendo come bussola delle idealita’, dei valori, dei capisaldi culturali o addirittura una fede. La politica non è e non può essere per ognuno che sia catapultato dalla ruota della celebrità nelle istituzioni, ma è per coloro che applicano un credo, magari una idea visionaria, perché riconoscendo la differenza delle idee sanno fare sintesi e donare l’equilibrio della misura alla comunità. Dal 1992 l’abbiamo definito volgarmente compromesso, dovremmo rileggerlo da ora nobilmente compromesso.
Oggi l’Avvenire ha pubblicato un articolo sui complottismi, vi suggerisco di leggerlo, perché proprio questa moda rappresenta uno degli alibi degli elettori e dei politici, un alimento della voracità mediatica, della illusione popolare. Riporto sempre un esempio sui bravi politici ed amministratori: tra il 1970 e il 1974 Roma ha accolto 400.000 emigranti dalle regioni meridionali; un numero enorme per una sola città. Quegli assessori, quei sindaci, quei politici, hanno fatto in pochi anni scuole, chiese, fogne, acquedotti, ospedali e piazze, sbagliando o realizzando progetti validi, ma comunque hanno realizzato una città più grande, rendendo tutti romani. A Parigi non ci sono riusciti. Quei politici non si esprimevano come noi, articolavano il linguaggio della politica. Oggi è una impresa anche potare le piante in una aiuola, perché ad amministrare troviamo un cittadino qualsiasi.
Nicola Tavoletta, direttore Acli Latina