Storie di Natale, il trapianto della scatola del panettone

Storie di Natale, il trapianto della scatola del panettone

19 Dicembre 2019 0 Di Lidano Grassucci

I DOLCI

Ora, conoscevo poco di dolci, meglio, quasi niente che non fossero le crostatine di visciola, il bignè alla crema (con così tante uova che era così giallo che la maglia del vincitore del Tour de France al confronto era pallida), il tortolo, la pagnottella del Salvatore e la cosa più esotica era la zuppa inglese con alchermes tanto tanto, da bandiera rossa della grande patria sovietica. Mo che li elenco erano tanti, e pure buoni (ma non è che ho vissuto una infanzia felice e non me ne sono accorto, santa Za Pippa).

IL PANETTONE E MILANO

Ma il Panettone no, quello non lo conoscevo, manco sapevo che era vivente, non ne sapevo niente. Pure lo spirito del Natale era un poco “tra noi” che il bambinello era venuto non per tutti, ma da racconti, quasi quasi solo per me.

Capitò che papà andasse a lavorare a Milano e al primo Natale “emancipato” si presentò con la novità: un cartone con disegnato il Duomo (quello lo riconoscevo in geografia ero un campione e non temevo rivale alcuno, pe le cose inutili me tenete da lassà sta), celeste con la scritta Alemagna. Io e mia sorella non avevamo mai visto niente di così perfetto, pareva “ritrattato”, aveva anche una cordicina di stoffa per reggerlo con le dita. Ci potevi pure viaggiare, pensammo. E qualche giro intorno al tavolo ce lo siamo fatto. Mamma giocò con il nome “E’ il pan de Tony”, ma penso che anche lei avesse una vaga idea di cosa fosse.

LA SCATOLA

Ma come si mangia? E come si apre la scatola? Papà era già milanese (come lo può essere un sezzese) e suggerì “spaccamoio”. Non l’avesse mai detto, eravamo già sazi nel guardare, di spaccare non se ne parlava nemmeno.

Ci voleva un piano, un piano ardito più complesso del D day di Normandia.

L’OPERAZIONE

Delicati come chirurghi, il modello era Christiaan Barnard e il suo trapianto di cuore. Ecco si apre, fa piano che lo rompi. E papà “”spaccamoio”. Noi non eravamo preoccupati di scoprire cosa c’era dentro ma di capire come si sarebbe cicatrizzata la ferita post operatoria. Credo sia stata l’operazione più lunga in cui fu coinvolta la famiglia, a Barnard l’operazione andò bene, il paziente sopravvisse 18 giorni, a noi meglio la scatola dal 1966, data dell’operazione, morì nel ’73 senza soffrire e fu “cremata” nel camino di casa con gran rispetto.

E il panettone? Vedete quando la civiltà dello strutto incontra il burro, lì per lì perde se stessa, fu amore incredibile, tradimento pure, ma questa è un’altra storia.

Eravamo diventati “europei”, quasi normali