Viaggi corti, la piazza di Priverno e la botta di Alberto Sordi

Viaggi corti, la piazza di Priverno e la botta di Alberto Sordi

23 Gennaio 2020 0 Di Lidano Grassucci

Questo testo è uscito nell’ultimo numero della rivista “Il borgo parlante” del Comune di Priverno. Lo propongo perchè mentre lo scrivevo ho un poco assaporato una bellezza di cui tutti abbiamo bisogno, la bellezza delle nostre radici. Colgo l’occasione di ringraziare il sindaco di Priverno, Anna Maria Bilancia e Corallina Trani per l’ospitalità dei miei scritti 

 

 

Mi capita, talvolta, di parlare di bellezza, di luoghi dove trovi qualcosa di speciale. Speciale non è un giudizio estetico, è una espressione di cosa fuori dalla norma, che non ha paragoni, unica insomma. Una cosa che spiega le cose degli uomini attraverso quello che hanno fatto gli uomini. Noi non siamo i nostri sassi, ma i nostri sassi fanno la nostra grandezze di come essere uomini.

In treno trovo un interlocutore, sapete quelle conversazioni che si fanno per ammazzare il viaggio. Il mio interlocutore elogia cose che stanno nel cielo, ha visto una trasmissione di Alberto Angela sulla grandezza e bellezza di questo paese, si di questa Italia, dove la storia non si è fermata, per andare via, ma ha indugiato, ci è rimasta attaccata e dove ogni angolo parla.

Mi chiede “ma dalle sue parti cosa c’è di bello?”

Una domanda banale, fin troppo scontata, forse anche inutile se non fosse per tener alta la conversazione, ma io invece ci penso. E penso a come vorrei vedere la sua faccia stupita davanti a cose che non si aspetta. Penso pure che se questa Italia di cui lui si sente rapito ha dentro anche la mia piccola Italia, e se la storia ha indugiato qui ovunque anche da me non deve essere capitata di meno . Penso e lego le cose grandi al mio mondo, che fino a questo momento consideravo piccolo, o esente dalla “grande bellezza”.

Alberto Sordi raccontava lo stupore spiegandolo con l’iniziazione dei ragazzi romani nella prima parte del secolo scorso. Venivano presi per mano e portata a Spina di Borgo, il quartiere che stava dove oggi c’è via della Conciliazione. Si camminava per vicoli stretti, senza quasi luce, sempre in ombra, intricati, stretti, rumorosi. In alto non si vedeva quasi il cielo ma grondaie, panni stessi, odore stantio di cose da mangiare. Gira, e gira ancora e… d’improvviso dopo l’ennesima svolta ecco la meraviglia: la luce invade, l’aria si fa senza alcun odore e immensa Piazza San Pietro, e la basilica e la cupola e la casa di Dio in questa terra.  A quel punto l’accompagnatore dei bambini in questo viaggio iniziatico chiedevano : “hai capito il botto?”. Era definito botto questo colpo estetico, questo senso di eterna grandezza partendo dalle strettoie della vita quotidiana.

Mi dico: debbo cercare anche io con questo un “botto” e….così fargli capire che in questa bellezza italiana ci siamo anche noi

E, nel rispondergli, ho di getto proposto “la piazza di Priverno”. Si la piazza così sorprendente per quanto non te l’aspetti, per quanto ordita in questi nostri monti dove siamo sempre misurati perché “son sempre pronti i guai”. Una bellezza quotidiana, con cui noi condividiamo la vita quotidiana e non ci impressionano più. Ma se qui, qui a Priverno, c’è una idea di stare insieme, un sentire comune è per questo e, rispondendo con la mia idea di bellezza al mio interlocutore, ho capito la “resistenza” di Priverno alla omologazione, alla periferizzazione e la vivacità degli eventi e delle storie di cui ho letto durante questo tempo, e anche la vivacità degli scontri tra il diverso sentire delle diverse anime.

La piazza è stata una chiave per capire, per avere una ragionevole spiegazione di questa rete profonda di relazioni negli spazi urbani che da carattere alla comunità. Da noi non ci sono gli Alberto Sordi che con una storia danno l’immagine della Storia, ma in egual modo viviamo immersi in una profonda bellezza umana, in un patrimonio da difendere. Da difendere tutti ciascuno facendo la sua parte, chi governa facendolo con il rigore della responsabilità, chi si oppone con l’amore della libertà di essere anche fantastici.

Una comunità viva, io ne ho raccontato i simboli, spesso da fuori si vedono cose che da dentro si sono dimenticate. Se il viaggio di Sordi lo facevo da San Pietro, dalla sua piazza fino a Spina di Borgo, cambiava tutto e tutto si faceva cupo come un imbuto che ti porta nella stretta del collo di bottiglia.

Abbiamo in queste terre grandi tesori, raccontiamoli, stupiamoci, sentiamoli nostri, e guardiamoli con gli occhi del vicino riscopriremo la fortuna di stare qui, e il dovere di difendere la nostra cultura, la nostra identità, la nostra unicità che non è essere superiore ad alcuno ma manco secondi a alcuno.