Sezze, le tentazione “dolce” della ruota delle  clarisse

Sezze, le tentazione “dolce” della ruota delle clarisse

31 Gennaio 2020 0 Di Rita Berardi

Riceviamo, e pubblichiamo, un “gustoso” racconto di Rita Berardi, un poco auto biografico molto foto di un tempo

 

Il mio primo esame all’Universita’ alla Sapienza fu Storia del Risorgimento per cui lessi la parola “Sventrata”in uno dei 10 libri di approfondimento dal titolo Napoli sventrata. Non mi rendevo conto materialmente cosa rappresentasse questo concetto fino a quando, un giorno da adulta rientrai in quel che per me è a Sezze il luogo del cuore per eccellenza, I’ex convento delle clarisse trovandolo nel 2015 sventrato nella sua architettura, storia ma soprattutto anima! Non può capire chi non ha visto come era, ma mi consola sapere che da quelle finestre che danno sulla pianura pontina entra la stessa luce di 40 anni orsono. Del convento delle suore di clausura clarisse di Sezze ha già dato spiegazione Filomena Danieli. A ritroso nel tempo immagino quel convento sacro di donne chiuse in preghiera che rinunciano alla vita tra la gente per pregare per la gente, mi vedo bambina a dieci anni correre veloce verso Via Cavour dove era il Convento, una delle strade di Sezze che ha subito anche un vero sventramento nella struttura originale con testimonianze di cemento di come, dove passa l’uomo non cresce più erba.

Il mio desiderio era varcare il grande portone dell’atrio del convento, ma di più, il secondo portone, quello che portava all’interno e tutte le volte che entravo nell’atrio provavo a vedere se lo avessero dimenticato semiaperto, ma niente, allora suonavo il campanello per avvertire che avevo qualcosa da mettere dentro la ruota di legno girevole a sinistre di questo. La ruota delle clarisse era una nicchia in legno di ciliegio scuro, con una cupola e intagli, tra cui il sacro cuore di Gesu‘, divisa in due scomparti uno di qua dove si mettevano cose da mandare all’interno del convento, come indumenti da rammendare essendo le ” le clarisse” bravissime nei rammendi o stoffa da ricamare per I corredi delle spose o anche uova; l’altro per restituire le cose e anche le ostie. Le famose ostie delle clarisse! Quel giorno era proprio per questo scambio importante per me, perché per la prima volta non portavo indumenti ma le uova di nonna per avere le ostie per un dolce particolare:” la pasta di mandorla” l’intoccabile tra I dolci setini perché per mangiarla devi avere una certa predisposizione ad un gusto particolare non comune con gli altri dolci setini dato che è fatta tutta con mandorle tritate, chiara di uovo e ostia.

E proprio l’ostia volevo mangiare fin da piccola e l’incontro con la pasta di mandorla era sempre lo stesso, lei li tra crostatine di visciole, bignè, croccanti, biscotti e ciambelle d’uova, tutti colorati, bruni, forti e decisi, era a dare ed essere luce e delicatezza.

Era come una Principessa, intoccabile, bianca e dorata con lievi crepature tra la bianca mandorla e lo zucchero dorato, viva di luce riflessa, come se mi sussurasse ”’se mi devi mangiare mi mangi tutta e non fare come sempre che mi sputi a meta’ o mi togli solo l’ostia” infatti ogni volta di nascosto tiravo l’ostia per mangiarla cercando complici per finire il resto tanto da essere scoperta e spesso ricevere ”n’accioncata alle mánò” per impedirmi di ”sventrare” la povera pasta di mandorle.

Quel fatidico giorno tra i miei tanti ”cùmmanni” che facevo tra nonna, zie, mamma e vecchiette da via Resistenza ai Cappuccini, ci fu quello delle ostie; come furono tanto svelti i miei passi ad andare al convento tanto lenti furono al ritorno con questa busta di ostie che avrei potuto mangiare, non tutte, ma almeno una diecina’, pure,candide,piene di luce.Ad ogni passo una contata e il pensiero ”ma se dapò nonnèma le tè contate che faccio? Sai le njastème che me chiappo e me gioco púro la paghetta de nonna Vincenzina!”. Tanta era forte la tentazione tanto erano lenti I passi fino a quando arrivata da Via Cavour quasi a meta’ dei Cappuccini verso la Macchia che “gli strigli” di nonna preoccupata del mio ritardo mi distolsero più che dal pensiero dalla tentazione stessa e veloce come ero arrivai in un attimo con tanto di busta delle ostie intatte, ma con l’amaro in bocca per non aver avuto il coraggio di rubare almeno una candida ostia che veniva da quel luogo segreto dove nessuno poteva entrare se non autorizzato, tanto che fino ai dieci anni mi accontentai della voce di una Clarissa che a fine scambio si congedava con ”Dio sia con te’‘ mentre ai tredici anni, noi ragazze dell’ Azione Cattolica, tra cui la mia cara amica Franca Spirito potemmo entrare dal secondo portone.

La voce prese forma in un corpo dentro la tunica di una giovane suora che spiegava come fosse la vita in convento e mentre la luce penetrava nella stanza illuminando il candido viso di quella donna pensavo all’intoccabile pasta di mandorla e alla mia tentazione che di li a poco, quella vera, avrebbe vinto fronte all’attesa della candida clarissa, per un mio noviziato ai sedici anni, avendo confuso la mia antica e nutrita curiosità di voler vedere e capire il convento, in una “mancata” vocazione.