Fase 2 / Giorno n. 5 tra ricrescita e sindrome della capanna

Fase 2 / Giorno n. 5 tra ricrescita e sindrome della capanna

8 Maggio 2020 0 Di Maria Corsetti

Latina, giorno di semi libera uscita n. 5. Camminano tutti.

Il monumento più visitato, la pista ciclabile di Via del Lido, è un tripudio h24.

Tracollano le presenze ai webinar nella fascia oraria pomeridiana, passeggiare anche in città è bellissimo, la vita scorre e cresce sotto il segno di abitudini abbandonate da anni. Torna in voga la chiacchierata strada-balcone, distanziamento sociale assicurato e contatto umano un po’ più umano della videochiamata whatsapp che in realtà aveva già stufato prima della fine della quarantena. I bambini vogliono stare all’aria aperta e i cortili si popolano di biciclette, palloni e pattini. Si riscopre il pomeriggio, compresso fino allo scorso febbraio tra genitori taxi e figli hardware su cui installare i software di piscina, palestra e inglese.

L’aria è pulita, il cielo limpido e conviene goderselo adesso prima che i sapiens ricomincino a scorrazzare per il pianeta.

Superati anche i drammi estetici, ognuno esce come può. Spuntano le prime mascherine leopardate, tigrate, zebrate, a pois. Finalmente, e non del tutto, si è fatta luce su come devono essere confezionate. In ogni caso risolvono il problema del rossetto. Per le mani, rimaste con le ricostruzioni a metà, che ormai sembra di avere il french, ci sono i guanti a togliere da ogni imbarazzo.

Anche sui capelli è subentrata la rassegnazione: se la tinta fatta in casa non ha dato gli esiti sperati, si può rimediare con un cappellino o con una bandana. Comunque il distanziamento sociale aiuta, chi nota la ricrescita sta troppo vicino, non rispetta le regole, va segnalato immediatamente alle forze dell’ordine e multato.

La sindrome della capanna:chesta me moreva e non la sapeva” saria ditto nonnema Rosina, che, torno a esprimermi in italiano standard, accoglieva con entusiasmo ogni cosa nuova ci fosse da imparare. “La sindorme della capanna o sindrome del prigioniero è la paura di tornare a uscire dopo il lungo lockdown. Dopo essersi abituati a stare al sicuro in casa si percepisce come ansiogena la realtà esterna. Per superarla serve gradualità e piccoli cambiamenti quotidiani” (fonte Google).

La realtà è che ci siamo svaccati sui divani, nel massimo confort di tuta, ciabatte e telecomando. Aggiungo per le donne: due mesi senza reggiseno, tacchi e borsa capienza Mary Poppins appesa a una spalla sono meglio di una spa.

La realtà è che abbiamo mangiato e bevuto allegramente rinviando a fine lockdown i sensi di colpa e ora non ci va di affrontarli. Visto che il mondo riparte con calma, ci adeguiamo alle circostanze. Come attività motoria va bene una passeggiata, basta scriverlo sull’autocertificazione.