Festival Pontino di Musica, l’apertura è un successo, il concerto di Gnocchi

Festival Pontino di Musica, l’apertura è un successo, il concerto di Gnocchi

19 Luglio 2020 0 Di Luca Cianfoni

L’apertura di questo Festival Pontino di Musica 2020nline, vede nella serata inaugurale Giovanni Gnocchi, docente di violoncello dei corsi di Sermoneta e famoso concertista internazionale

Il programma impegnato di Giovanni Gnocchi

Una sedia vuota, dei passi in entrata, il musicista che entra con il suo strumento e le orecchie che percepiscono un vuoto, quello dell’applauso. Giovanni Gnocchi, violoncellista di fama mondiale, si inchina ugualmente, agli spettatori digitali, che si trovano dall’altra parte della camera, si inchina per rispetto della musica, delle musiche che ieri, da una sala del Castello Caetani di Sermoneta sono state eseguite in un concerto di musica classica atipico. Un programma quello di Giovanni Gnocchi incentrato tutto sullo scambio che sempre è avvenuto e tutt’ora avviene tra la musica popolare e quella classica e che si registra soprattutto nella forma della danza. Così come Bach nel ‘700 soleva unire in suite diversi tipi di danze e farne dei capolavori così accade ancora oggi e così Giovanni Gnocchi certa di svecchiare, di osare sul palcoscenico musiche di rado se non mai eseguite, come i canti dei prigionieri afroamericani o delle popolazioni di Taiwan, accordandosi ad una realtà attuale molto difficile per questa minoranza. È anche questo il ruolo e la forza di un artista, riuscire a forzare i limiti della tradizione, romperli, per accendere nuove luci sul presente sociale e musicale, per far sì che il rinnovamento e il cambiamento avvenga sia nell’arte che nelle nostre comunità. 

La prima parte del concerto, Bach e Sheng

Il programma del concerto di Gnocchi infatti è intitolato “Migrazioni, tradizioni, contaminazioni” Da oriente a occidente, dalle corti alle carceri. L’appello tramite una nota biografica del concertista è all’apertura del mondo, all’apertura alle culture, come già Bach faceva con le sue danze e come accade nella Suite n. 1 in sol maggiore BWV 1007, un pezzo tra i più conosciuti del compositore di Lipsia che le mani danzanti del violoncellista replicano senza problemi, meravigliando soprattutto nei due minuetti, sulla lunga pista nera della sua tastiera. Le immagini del Castello di Sermoneta che si accordano alla musica del concerto sono stupefacenti e accompagnano gli spettatori virtuali alla seconda opera in esecuzione, alcuni estratti da Seven Tunes heard in China del 1995, del compositore cinese Bright Sheng. Little Cabbage è come una sospensione del tempo, come un canto melanconico, proveniente dalla regione dell’Hubei che tristemente abbiamo imparato a conoscere in questi ultimi mesi. In Diu Diu Dang, le mani di Giovanni Gnocchi, come quelle di un prestigiatore, trasformano il suo violoncello in flauto e non solo, è come se un’orchestra cinese sia al fianco del violoncellista, ricreando atmosfere orientali.

Weir e Kodàly due universi musicali a confronto

Dalla Cina si torna nel vecchio continente con la compositrice inglese Judith Weir, Master of the Queen’s Music, prima donna a ricoprire la massima autorità all’interno della monarchia inglese per la musica. Il primo estratto dalla sua opera Unlocked, che riporta canti di prigionia degli afroamericani rinchiusi nelle carceri del sud, è Make Me a Garment canto originario della Florida. Questo spiritual molto dolce e lento viene reso ancor più malinconico dal suono del violoncello, che sembra quasi rendere la voce del detenuto afroamericano malato di tubercolosi, che dalla sua prigione sussurrava il canto. Il picchettio sul violoncello nel brano No Justice, cantato dagli afroamericani di Atlanta, in Georgia, sembra ricordare la condanna ai lavori forzati di queste persone, e il loro dolore di turni massacranti risiede nelle dissonanze e nelle veloci arcate del violoncellista. Le dolci note di The Wind Blow East proveniente dalle Bahamas, portano anche nel castello di Sermoneta un soave canto di sogno di liberazione dalla schiavitù, dallo sfruttamento lavorativo, una dolce brezza che sembra ancor oggi dover soffiare per spezzare alcune catene di discriminazione e oppressione. L’esuberanza e la spensieratezza di una bambina sono racchiuse nel canto di speranza di fuggire dalla prigione nella quale si trovava rinchiusa insieme a sua madre. Prigioni che a volte vedevano proprio nascere i figli delle prigioniere. Brano che si conclude nello spirito del canto di prigione, con Giovanni Gnocchi che esce dalla scena fischiettando il motivetto e portando ancora di più l’immaginario collettivo all’interno di quegli ambienti. Un’esplosione di musica è la sonata op. 8 per violoncello solo dell’ungherese Zoltan Kódály, una composizione che vede un notevole impiego e impegno della mano sinistra, che pizzica le corde oltre a pigiarle, dando vita a un doppio spartito. Una lettura del violoncello,  quella di Kodàly che vede il violoncellista esplorare tutte le tecniche esecutive dello strumento e della grammatica musicale, dal legato, alla politonalità. Un concerto originale, impegnato nelle tematiche ed eccelso per bravura dell’esecutore, che potrete riascoltare qui.