Io che avrei gettato monetine a Craxi ora capisco la sua rivoluzione… socialista

Io che avrei gettato monetine a Craxi ora capisco la sua rivoluzione… socialista

5 Agosto 2020 1 Di Fatto a Latina

Abbiamo tutti un poco di pudore quando si parla di noi, ancor più quando si scrive di noi. I miei, pochi, lettori sanno che per un patto di reciproco rispetto da quando ho iniziato a fare il giornalista e il comunicatore ho premesso “guardate che non sono obiettivo, sono socialista e militante, i miei giudizi, ragionamenti saranno sempre della mia parte”. Odio gli ipocriti che fanno i partigiani ma in incognito. Io lo sono esplicito. Quando mi è arrivato da FacilePenna questo pezzo ho pensato che vedere vicende dall’esterno, lui non è socialista, aiuta a capire meglio a dare il senso ad un percorso (interrotto per viltà politica dei comunisti, ed essere uccisi dai fratelli è una cosa terribile è tragedia di famiglia, per mano armata dei giudici ma questi non li abbiamo mai amati). Lo pubblico volentieri e mi fa piacere del percorso di un ragazzo che parte dal livore giustizialista e arriva al pensiero di un nuovo modo di stare insieme, perchè noi, noi socialisti, siamo, tra mille sfaccettature, rimasti sempre gli stessi: umani. (L.G.)

 

Mai votato socialista, anche se tra i miei riferimenti culturali ed ideali ci sono alcuni socialisti italiani ( Rosselli, Turati, Matteotti). Mai stato craxiano (non fosse altro per questioni anagrafiche). Anzi, da ragazzo, all’esordio della mia coscienza politica, nei primissimi anni novanta, ero un feroce sostenitore dell’abbattimento della Prima Repubblica per via giudiziaria.
Se non fossi andato in vacanza con la mia classe del liceo a Venezia, il 30 aprile del 1993 magari mi sarei ritrovato di fronte al Raphael a gridare, sventolando banconote da mille lire, “vuoi pure questeee, Bettino vuoi pure questeee” (lo avessi fatto, me ne sarei sicuramente pentito per tutta la vita ed avrei procurato un dispiacere a mio padre).
Il mio pensiero quindi non può essere tacciato di partigianeria craxiana ne di nostalgismo del meraviglioso tempo passato (non credo alle età dell’oro). Ho provato però fastidio nel sapere dell’imbrattamento della targa dedicata a Bettino Craxi in quel di Bassiano.
Non solo perché mi è tornato in mente il famigerato bisogno di molti di noi italiani di essere ossequiosi oltre ogni modo coi potenti al loro apogeo e ferocemente fustigatori quando gli stessi cadono in disgrazia (soprattutto dopo morti, per essere sicuri). Ma anche perché così facendo, si dimentica tutto un pezzo di storia politica (che è contraddittoria come ogni faccenda umana) nella quale c’è stato sicuramente del cattivo (se non pessimo) ma anche del buono.
Inoltre la conoscenza esatta della storia è alla base dell’identità di un popolo e senza la coscienza che ne deriva, raramente un popolo può avere un futuro felice. Non mi addenterò in una lunga e noiosa dissertazione sui quindici anni del PSI craxiano e nemmeno mi lascerò andare ad un discorso revisionistico sul passaggio storico tra Prima
e Seconda Repubblica collegato a Mani Pulite (credo spetti agli storici ormai). Parlerò solo di un gruppo di giovani uomini socialisti (per lo più quarantenni) che il 13 luglio del 1976 all’Hotel Midas di Roma, durante il Comitato Centrale del PSI riunito in via straordinaria, defenestrarono la vecchia nomenclatura socialista guidata da Francesco De
Martino ed elessero Bettino Craxi segretario nazionale, per quella che sembrava una transizione momentanea, ma che nel giro di pochi anni si configurerà come una svolta in grado di modificare la natura stessa di quel partito e la storia della Repubblica.
Tra di loro molti avrebbero avuto una carriera politica fulminante ed una caduta altrettanto rapida: Claudio Signorile, Enrico Manca, Gianni De Michelis, Fabrizio Cicchitto, cui si aggiunse dopo pochi mesi l’ancor più giovane Claudio Martelli.
Erano giovani politici intelligenti ma anche importanti figure intellettuali ( Martelli assistente alla Facoltà di Lettere dell’Università di Milano, De Michelis professore associato di Chimica all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Signorile ha insegnato Storia Moderna alla Sapienza di Roma). Volevano “sparigliare le carte” di un sistema politico ingessato dal 1948 (con DC al governo e PCI all’opposizione). Volevano modernizzare l’Italia e portarla negli anni Ottanta.

Furono i più vicini ai movimenti democratici che presero piede nella società italiana negli anni dal 1968 al 1978, convinti che il coinvolgimento di questi nel processo politico-istituzionale avrebbero evitato il tragico epilogo del terrorismo rosso e nero, favorendo il progresso economico e civile del Paese.
Con loro andò in Parlamento persino un ammiraglio della marina Falco Accame, che fu uno dei più convinti sostenitori della battaglia per l’apertura alla società e per la trasparenza nel mondo militare; da Presidente della Commissione Difesa votò (insieme al gruppo socialista) contro la legge 382/78 che istituiva le rappresentanze militari perché le
considerava un palliativo (uno strumento buono ad occuparsi delle mele e delle pere), che avrebbe affossato per anni l’ammodernamento e la democratizzazione della Forze Armate (avevano ragione, se ancora oggi il Parlamento, malgrado una sentenza dell’Alta Corte,non è riuscito ad elaborare una legge decente sui sindacati militari).
Furono tra i pochi ad opporsi alla strategia della fermezza sul caso Moro (volevano la trattativa coi terroristi per salvare la vita del Presidente della DC).
Nessuna delle battaglie sostenute in quei primi anni di nuovo corso del PSI era popolare e portava voti, anzi.
Attraverso la rivista “Mondoperaio” avvicinarono, seppur per breve tempo, diversi intellettuali (rompendo l’egemonia comunista, cosa che a Botteghe Oscure sicuramente non gradirono).
Tra questi c’erano filosofi del calibro di Norberto Bobbio, Paolo Flores d’Arcais e Luciano Pellicani, storici (Luciano Cafagna, Ernesto Galli della Loggia, Massimo L. Salvadori, Furio Diaz), giuristi (Giuliano Amato, Federico Mancini, Gino Giugni) sociologi e politologi (Roberto Guiducci, Gianfranco Pasquino) ma anche economisti (Franco Momigliano, Antonio Pedone, Giorgio Ruffolo). Ci furono simpatie ed innamoramenti per il Garofano Rosso pure nel mondo della musica, del cinema e del teatro : Giorgio Strheler, Ornella Vanoni, Caterina Caselli, Vittorio Gassman. Francesco Guccini, l’autore della Locomotiva, lo ha ammesso qualche mese fa (Mai stato comunista. Votavo socialista).
Credo che allora, nel 1976, quei quarantenni del Midas fossero sinceri. Volevano la loro rivoluzione di velluto.
Poi è finita come è finita ed alcuni di loro hanno fatto scelte discutibili dal mio punto di vista. Però tanto per dire, leggiamola un po’ meglio la storia contemporanea. Lo so che è complicato ai tempi dei social networks, ma non sono scuro che tra quarant’anni qualcuno potrà scrivere un articolo simile sull’attuale classe politica.

Davide FacilePenna