Scuola: la mano di mamma lascia la mia e un gruppo di bimbi comincio a camminarmi accanto
13 Settembre 2020Oggi iniziano le scuole, per chi ha buoni sindaci, per gli altri inizieranno (ma ricordatevelo quando andrete a votare) poi come se fosse rinviabile la vita. Questo il mio primo giorno, così eguale al vostro perchè è “nostro”.
Un grembiule nero, un fiocco azzurro, un colletto rigido bianco. Era ottobre, il primo. Il 20 settembre ero tornato dalla villeggiatura con zia a Terracina. I giorni prima era stato un gran d’affare perchè tutti erano mobilitati: nonna, mamma e papà guardava da lontano. Nonno un poco si gonfiava il petto che diventavo “ometto” e portavo il suo nome e cognome all’appello di uno stato che riconosceva poco ma tanto riconosceva al dono delle parole. Lui mi aveva insegnato quella storia che non avrei ritrovato fatta di paladini di Francia, di Orlando alle prese con la sua furia.
Un grembiule nero, quello delle bimbe era immacolato. Papà aveva già parlato nella rete contadina, di casa in casa, per fare di noi una possibilità.
Non c’era ipotesi di rinvio, era un appuntamento necessario. Non si poteva fa trasparire emozione, ma nonno quel giorno non andò a lavoro, il carretto rimase fermo, il mulo a riposo e lui faceva finta di avere di che fare. Girava come girano i gatti quando percepiscono lo spazio stretto. Bisognava andare, non avevo dormito, ma cosa dovevo cambiare la mia vita, e per che fare? Invece lo Stato era puntuale, mia madre incrociò nonna, che non poteva non esserci, e ero scortato da due. Quanto rumore, la scuola arrivava dopo una salita, spianava un poco e po giù come le montagne russe. Il cielo era una striscia blu tra le case, il primo d’ottobre non piove quasi mai. Era un dispetto di quel creatore che aveva creato noi e non le scuole che invece noi avevamo voluto per capire lui e il suo verbo principio delle cose.
Tutti con il grembiule nero, distanti più forti le bimbe grembiule bianco. Ci divisero, mamma aprì la mano, nonna aveva gli occhi più azzurri del solito e io pensavo “che non ci sarebbe stato ritorno”.
Dentro la scuola mi trovai solo, con altri soli, ci trovammo con scale grandi, immense corridoi lunghi e… tu sei Alfredo, tu sei Lilli, poi come ti chiami? Loretta, e mi facevo rosso. Lei è Antonella, Sonia. Io sono Vincenzo, uno già aveva il fiocco storto si chiamava N’Ghitto, uno era già stanco e si chiamava Antonio, uno era buono e pieno di salute disse Maurizio. poi Vincenzo. Giancarlo…
In un giorno solo il mondo era venuto da me, mani mi avevano lasciato e bimbi e bimbe erano con me per farsi grandi. Sarebbe stata lunga, lunga una vita questa storia a raccontarla mi potete capire se l’avete capita, se la sentite dentro. Entra il maestro, severo e nero, con i manicotti per non sporcarsi la giacca, l’autorità è pulita. Capii al volo che dovevo stare con gli altri, che noi piccoli avremmo fatto la differenza.
Ho conosciuto gli amici, la paura, il tempo non mio, le lettere ed i numeri, la rivolta e la pace, la prima idea di cosa sia la bellezza di una ragazza e ogni cosa, anche la rivolta. Mi insegnarono a pensare come si doveva fare, ma in segreto anche lo storto.
Passarono le ore, i minuti, i giorni, gli anni ma questa cosa di un giorno di ottobre mette i brividi e loro, quei bambini, oggi vecchi come me sono, come sono io, eterni compagni di strada.
Oggi la scuola è altro: igiene; fatto medico, roba di banchi; conteggi di distanze. Per me è quel giorno che mamma apri la mano e mi lascio andare, un gruppo di ragazzi mi si mise accanto ed abbiamo iniziato a camminare, e non siamo pentiti di niente.
Il resto? Sono cose che non c’entrano niente.