Cordisco, Caps, Campanella un jazz trio d’altri tempi

Cordisco, Caps, Campanella un jazz trio d’altri tempi

19 Settembre 2020 0 Di Luca Cianfoni

Ieri sera 18 settembre al Circolo Cittadino Sante Palumbo di Latina, si è esibito il Daniele Cordisco Hammond Trio, rievocando antiche sonorità jazz.

Cordisco Hammond Trio, sonorità d’altri tempi

Iniziano con Sunday in New York di Shirley Horn, i tre musicisti, tempo semplice, molto rilassato. È la chitarra la prima ad entrare, suono caldo e rotondo. Dopo qualche battuta l’organo Hammond si fa sentire ed è veramente un ritorno alle origini del sound elettrico, subito parte l’immaginazione. Se si chiudono gli occhi si torna in un jazz club anni ’60 americano, anzi no, non ce n’è bisogno, rimaniamo ad occhi aperti e prendiamo coscienza della bellezza che c’è a Latina e che dobbiamo imparare a riconoscere. Siamo proprio qui, al Circolo Cittadino, in un fantastico concerto organizzato dal Latina Jazz Club. Arriva anche la batteria, con Campanella che inizia in sordina, ma poi si fa sentire eccome, con colpi multipli e rullate molto potenti. Si continua con Without a Song di Sonny Rollins, dal disco The Bridge, Cordisco sfiora appena le corde con la mano destra e vedendo la sinistra sembra far diventare facile la molteplicità di accordi che si susseguono. Il centro del palco non emoziona Caps, che invece sembra danzare sulle note solari e divertenti di questa canzone. Campanella svolge un ruolo fondamentale, anche se nel trio è quello con un ruolo meno solistico: il suo lavoro di raccordo tra gli altri due strumenti è fondamentale e lui riesce a farlo, puntellando con colpi precisi di batteria e mai esagerati. Questo trio ha un’alchimia pazzesca nei controtempi e nel complesso sembrano giocare a rincorrersi tra note, tasti di organo e batteria. Il brano successivo è lento e scivola sui soli colpi di ride che creano un grande tappeto sonoro. Il mood della canzone sembra rispecchiare la stagione autunnale che sopraggiunge, un po’ malinconica, mentre a Cordisco sembra non bastargli la tastiera per le note che cerca. La prima parte del concerto termina con Strangers in paradise, subito in tempo di bebop, che trasporta tutto il pubblico in un turbine di note che arrivano dritte dalla chitarra. Caps diventa una furia e fa a gara con se stesso per andare così veloce sul suo organo, mentre Campanella con piccolissimi movimenti delle braccia sembra essere su tutti i tamburi e i piatti della batteria contemporaneamente.

La seconda parte del concerto

Non appena iniziano le prime note di Bitter ed, canzone originale di Cordisco, anche le ultime persone rimaste fuori riprendono il proprio posto per non perdersi nemmeno un minuto del concerto. In questo blues, leggero ma non banale Cordisco osa di più con le scale e Caps, sul suo organo Hammond sembra entrare sempre in sordina, quasi sommesso, come a far scaldare il suo strumento, per poi arrivare a discese di note che portano all’iconico suono, tipico dell’hammond. Ad un certo punto le dieci dita di Caps non bastano più e ne chiede in prestito una da Cordisco, che subito si rende disponibile e lo aiuta nel suo solo. Si continua nel segno dei compositori Cordisco, il successivo Time up, è una canzone composta dal padre di Daniele. Il brano è molto complesso, con numerosi cambi e le rullate della batteria nonostante il tempo sia infuriato, sono precise, nette, sempre al posto giusto. Il penultimo brano è un arrangiamento originale di Cordisco, del classico Yesterdays di Jerome Kern, registrato anche nell’ultimo album del trio. Il chitarrista qui abbandona il plettro e suona con le dita e l’hammond si mostra in tutta la sua bellezza, con la sua mutabilità, la sua capacità metamorfica di essere suono pieno, corposo, allo stesso tempo acuto e fine o basso gravissimo, fornendo le fondamenta ritmiche dei brani. Il solo di batteria su ritmo di bossanova, a cui i musicisti arrivano senza soluzione di continuità dal tempo precedente, fa trasparire le immense capacità tecniche degli esecutori e la varietà di suoni che campanella riesce a tirare fuori dalla sua batteria sembra quasi trasformare il suo strumento in un orchestra di piatti e percussioni. Infine un grande omaggio a uno dei padri fondatori del jazz, Charlie Parker, nell’anno del suo centenario. Un omaggio del tutto particolare con una canzone di Jerry Bergonzi, Confirmation, che è di fatto un contraffact da un brano di Charlie Parker. Il trio è talmente affiatato che non ha bisogno nemmeno di guardarsi per intendersi, lo fa a memoria. Questa canzone è una continua discesa in una picchiata di velocità, tra i soli dei tre strumenti, che creano un affiatamento incredibile. In questo trio infatti gli strumenti non improvvisano, ma sembrano dialogare, costruendo botte e risposte, domande, esclamazioni, come vecchi amici che sono contenti di ritrovarsi dopo tanto tempo che non si vedevano.