Sezze/ Quando Dante “muntuave” i murodellatera (Isabella De Renzi)

Sezze/ Quando Dante “muntuave” i murodellatera (Isabella De Renzi)

18 Settembre 2020 0 Di Fatto a Latina
Di ISABELLA DE RENZI
Come spesso accade, tutte le scoperte si fanno un po’ per caso. I frutti maturi sono sempre caduti dagli alberi, ma se Newton non fosse stato colpito da una mela ben soda forse non avrebbe mai teorizzato la legge di gravità. Nel 1665 in Inghilterra imperversava la peste e il giovane scienziato era stato costretto a ritirarsi in campagna per sfuggire al contagio.  La solitudine forzata aveva favorito il suo otium, che per i latini come è noto indicava quel periodo in cui ci si poteva dedicare alle proprie passioni, come lo studio o la cura dell’orto, e allontanarsi dagli affanni quotidiani e dalla politica, i negotia. La sua sosta sotto l’albero di melo aveva fatto il resto. La quarantena forzata, insomma, se presa per il giusto verso può trasformarsi in opportunità: lo abbiamo imparato bene in questi mesi.
Così per trascorrere il tempo lento di un’estate assai speciale, fatta di distanze e vacanze casalinghe, mi sono dedicata all’approfondimento di alcuni autori della poesia contemporanea, di quelli che troviamo nei manuali, ma solo in brevi passaggi e dei quali sappiamo solo di doverne sapere di più. Tra i webinar (corsi a distanza) proposti per la formazione scelgo il più allettante: la poesia di Caproni nel panorama del secondo Novecento. Carta e penna alla mano, preparo il manuale, ripasso la vita, le opere principali e mi accomodo ad ascoltare la lezione come una bella scolaretta. Il relatore prende il via e, dopo tanto bel parlare, si sofferma su una poesia per farne un’analisi. Il tema è solenne, la poesia si intitola Anch’io ed è tratta dalla raccolta poetica Il muro della terra. Bene, sappiamo il periodo, 1975, ecco la raccolta, ma, non so perché, o forse sì, inizio a ridere, qualcosa mi diverte. Quella raccolta, ben delineata nella cronologia delle opere di Caproni, improvvisamente si stacca dal contesto, e per me diventa il Murodellaterra di Sezze. Caspita, ma che ha a che vedere il Murodellaterra di Sezze con Caproni? È venuto qui? Ha scritto queste pagine di rara bellezza guardando il piano da Santa Maria? Ma no… ma che dico? E continuo a ridere, l’idea mi solletica la fantasia. La poesia viene letta con profondo pathos, è struggente: È stata tutta una guerra /d’unghie. Ma ora so. Nessuno / potrà mai perforare / il muro della terra.
Per il poeta – sottolinea il professore dallo schermo – il muro rappresenta l’impenetrabilità della conoscenza, ovvero l’incapacità dell’uomo di sondare l’essenza profonda della realtà, della vita. Ma per me tutto ruota intorno ad altri pensieri. Il relatore va oltre, Caproni intitola la sua raccolta ispirandosi a Dante: il muro della terra è citato nel verso della Commedia, INF, X, 2 per indicare le mura di cinta della Città di Dite.  Or sen va per un secreto calle/ tra ‘l muro della terra e li martìri / lo mio maestro, e io dopo le spalle.
Alzi la mano chi non ha letto almeno una volta il canto di Farinata. Era il preferito del mio maestro, ricordo che ce ne parlava spesso, e se non parlava del ghibellino, ci raccontava degli ignavi. Quante volte ho sentito, ho letto in classe, ho ripetuto quei versi sulla città dei diavoli, che qualche volta ho anche disegnato per far capire meglio la geografia dell’Inferno? Molte. Ma mai avevo associato il muro della terra di Dite a il Murodellaterra. No quello mai. Devo smettere di pensare a questa assurda coincidenza. Andiamo avanti con Caproni, il relatore mi commuove. Caproni andrebbe letto meglio. Ma non è sufficiente. Mi torna alla mente una vecchia lezione ascoltata all’università. Per capire l’evoluzione di un termine nella storia della lingua italiana possiamo fare una prova: cercare quella parola nei testi antichi e vedere l’uso che se ne faceva, quindi confrontare quei risultati con l’attualità lessicale del termine. Caspita, ci provo anch’io. Mi soccorre Google: cerco “muro della terra” opzione libri. Vediamo cosa ne viene fuori. E come immaginavo i risultati mi segnalano in prima istanza Caproni, in seconda Dante. Non mi arrendo, sono stata capace di scovare ben altre cose. Arrivano i Commentarii di Giulio Cesare tradotti in italiano. Ecco, questo è un punto molto interessante. Mentre Bembo si accinge a scrivere le Prose della volgar lingua, Agostino Ortica della Porta nel 1517 traduce in volgare i Commentarii. Il suo fine è nobile, bisogna dare la possibilità di apprezzare la storia del grande generale anche a chi non conosce il latino. È qui che trovo citato il muro della terra. È un muro difensivo formato da travi sovrapposte, riempite di terra e sassi. Senza scendere troppo nel dettaglio, la ricerca nel volgere di poco tempo mi presenta alcune citazioni di “muri della terra”. In tutti i casi i testi li indicano come muri difensivi, spesso eretti proprio durante le operazioni belliche. Di solito il muro della terra viene anche associato a due torrioni che lo delimitano. Così penso che l’antico popolo setino aveva eretto il suo muro della terra proprio durante le guerre civili, quelle che avevano visto lo scontro tra i mariani, che qui erano molti, e gli uomini di Silla. Mi figuro la storia e sogno. Ma c’è qualcosa che non torna. Cesare ha scritto in latino, Dante in volgare, i testi in cui trovo “il muro della terra” sono tutti cinquecenteschi, successivi alla Commedia. Un dato lo immaginiamo verosimile: il Murodellaterra setino nasce come terrapieno a scopo difensivo, e su questo punto credo che altri più preparati di me potrebbero confermarlo. Ma il nome Murodellaterra a Sezze da chi viene dato? E quando? Certamente Dante scrive attingendo a un vocabolario fondamentale della lingua italiana già strutturato per più della metà dei termini quindi è facile supporre che il muro della terra sia un vocabolo antico, che appartiene al primo parlare volgare. Nell’Ottocento, si badi bene,  le traduzioni dei Commentarii di Cesare sembrano perdere la definizione di “muro della terra”, a vantaggio di “mura”, più elegante. Quindi il termine non può essere recente.
Sono confusa, non ho molti elementi per asserire quale sia l’etimologia del Murodellaterra perché una ricerca seria non si scrive in un solo giorno d’estate, richiede meticolosità e sapienza fine. A casa peraltro non ho un albero di melo sotto il quale sostare e in testa possono solo cadermi fichi secchi. Allora mi lascio andare all’immaginazione. C’era una volta, tanto tempo fa, un dotto uomo setino che rapito dalla bellezza della Commedia aveva voluto chiamare Muro della terra quel muro aperto verso la pianura per omaggiare Dante… Ma perché omaggiare Dante attraverso la Città di Dite? Vivevano forse i demoni in quel luogo? No. Era un Inferno quel luogo? No. C’erano gli eretici? La mia fantasia incomincia ad annebbiarsi. Fandonie! Apro la Commedia, inizio a leggere il canto di Farinata, ma le annotazioni a margine mi ricordano che Virgilio e Dante giunsero a Dite solo dopo aver attraversato la palude dello Stige, fatta di melma nera e che esalava putridi vapori.
Penso al Murodellaterra, all’affaccio sulle “mortifere paludi pontine”, all’Acquapuzza e al dotto uomo setino. Penso ai nomi, alle storie, agli aneddoti e alle allegorie. Sezze, Suso, Siena, le patrie della lingua italiana. È tardi, spengo la luce.