Gennaro e quella pizza che amava mio padre

Gennaro e quella pizza che amava mio padre

1 Novembre 2020 0 Di Emilio Andreoli

A Latina, nel 1967, arrivò un ragazzo napoletano in cerca di fortuna. Con se aveva solo tanta volontà e tanta voglia di mettersi alle spalle un passato di stenti e sacrifici. Ma dalla sua aveva anche una maestria, sapeva fare la pizza napoletana. Quella che sto per raccontarvi è la storia di Gennaro Lomasto, ma che per tutti era solo Gennaro.

 Adoro raccontare i personaggi di Latina, perché ho la sensazione di tornare indietro nel tempo, questo tempo tiranno che fra qualche giorno di quest’anno ne compirò sessantuno, e mi sembra sia accaduto ieri quello che sto per scrivere. Alcune cose della vita ti rimangono così impresse che se chiudi gli occhi sono davanti a te, e ricordi pure l’anno.

Era il 1970 quando, per la prima volta, i miei genitori mi fecero andare a mangiare la pizza con i miei amici, avevo solo undici anni, e mica mi accompagnarono. Partimmo dal Palazzo M, e a piedi arrivammo fino all’altezza dei palazzi Barletta in via Isonzo. Di fronte c’era una pizzeria, che faceva angolo con via Parini, si chiamava pizzeria Marzullo ed era una delle poche in città. Quel giorno ci sentimmo per la prima volta grandi. Stare in una pizzeria senza genitori era come essere arrivati sulla vetta di una montagna.

Ma a me quello che rimase più impresso di quella indimenticabile serata fu quel signore, piccolino di statura, che impastava la pizza e ogni tanto la lanciava in aria per poi riprenderla al volo. Si chiamava Gennaro e aveva una cadenza a me famigliare, perché i miei sono di origine campana.

Gennaro mentre lancia in aria la pizza

La storia di Gennaro Lomasto

Gennaro Lomasto nasce a Napoli il 28 aprile del 1938 nel quartiere Pendino, in una via soprannominata “Ncopp’ ‘e mura”. Gennaro ha appena due anni quando i genitori, molto poveri, decidono di affidarlo in un collegio a Bagnoli. È secondo di sette figli e loro proprio non ce la fanno a sfamarli tutti. Dopo la guerra torna a casa e quando vede i suoi non riconosce neanche la madre, tanto da chiedere: “Ma voi chi siete?”

Sin da bambino è costretto a trovare piccoli lavoretti per cercare di portare almeno un pezzo di pane ai suoi fratellini più piccoli. Addirittura prende le cicche per strada per raccogliere e vendere il tabacco rimasto. Ma capita anche di prendere da terra i pezzi di vetro per rivenderlo agli artigiani. Oppure trasporta il carbone nelle cucine dei ristoranti. Alcuni giorni però non riesce neanche a fare una lira e allora piange disperato.

Sono tempi duri per Gennaro, però è uno che ha fede e si appella, come tutti i napoletani, proprio a quel santo che porta il suo nome. In cuor suo sente che un giorno avrà un lavoro tutto suo. Intanto il papà, calzolaio, cerca di insegnargli il mestiere, anche se a lui proprio non piace. Intanto il tempo passa e a diciassette anni trova un lavoro dentro una fabbrica di torroni, ma non sempre viene pagato.

Dopo l’esperienza nella fabbrica di torroni va a lavorare come sguattero in una pizzeria, fa un po’ di tutto, asciuga le stoviglie, lava i pavimenti, schiaccia i pomodori per il condimento. Ed lì che comincia a rubare con gli occhi il mestiere di pizzaiolo. Quando aprono una nuova pizzeria a Forcella riesce a farsi assumere come pizzaiolo, ma non è così semplice fare le pizze, sono più quelle che brucia che quelle che gli riescono, ma fa esperienza.

Nel 1960 lo nota un ristoratore di Formia e lo invita a lavorare con lui al ristorante “la Conchiglia”. Sa che deve adattarsi, dorme su una branda in una stanzetta umida insieme ad altri lavoranti e mangia gli avanzi dei clienti. È sul lungomare di Formia che conosce Anna Maria, la sua futura sposa ed è sempre a Formia che nascono i primi due figli, Pasquale e Stefania. Per un breve periodo va a lavorare al nord nel bellunese a Forno di Zoldo, ma nel 1966 a causa dell’alluvione che coinvolge mezza Italia, compresa Firenze, decide di tornare a Formia.

Nel 1967 arriva a Latina, perché un suo amico gli dice che la città è in forte sviluppo e ci sono tante opportunità. Trova subito un lavoro nella pizzeria Marzullo che si trova in Corso della Repubblica sotto il palazzo D’Ercole, ma il 20 luglio del 1969 due bombole fanno saltare in aria il locale. Fortuna che il signor Marzullo decide di aprire di fronte ai palazzi Barletta e Gennaro può continuare a lavorare. La svolta è nel 1971, quando decide di aprire una pizzeria tutta sua. Lo aiuta economicamente un suo amico con il quale diventa socio. Ripagato tutto il debito la pizzeria definitivamente diverrà sua. Il suo sogno si è avverato e lo sforzo ripagato.

 

L’incontro con il figlio Pasquale e la moglie Anna Maria

Gennaro ha lasciato una grande eredità, ma non economica ma di valori, come l’umiltà e la generosità. Pasquale ha raccolto i suoi insegnamenti e continua l’attività del papà, insieme a suo fratello Bruno. Pasquale è anche un esperto tanguero, uno dei migliori in circolazione, ma riesce a conciliare bene le due passioni, fare la pizza e ballare il tango che lo definisce una filosofia di vita.

La postazione di Gennaro dove si vedono i suoi miti attaccati alla parete, Totò, Padre Pio e San Gennaro

Lo incontro di mattina, ha un cappellino di lana colorato e una felpa rossa. Ci conosciamo da una vita e mi resta facile intervistarlo, e poi è anche una persona piacevole. Nel frattempo, inaspettatamente, arriva anche la mamma. È la mia giornata fortunata, penso.

Come era il rapporto con tuo papà? Sorride e tradisce un po’ di emozione

Era un rapporto conflittuale, voleva avere sempre ragione e il bello che anche i miei amici gliela davano e oggi, da quando non c’è più, mi accorgo che ce l’aveva veramente. Adesso quando faccio le pizze, a volte, mi sembra di essere lui

Che tipo era Gennaro?

 Mio padre era una persona solare, quando faceva le pizze amava raccontare storie tra una evoluzione e l’altra. A lui piaceva stupire, pensa che una volta fece due tredici di seguito, prese pochissimo, però la pizzeria si riempì di amici e conoscenti per sapere come avesse fatto. Una volta venne a mangiare la pizza Tullio De Piscopo, che a quel tempo collaborava con dei musicisti pontini, e iniziarono a parlare napoletano. In una intervista disse “a Latina mi trovo bene, perché c’è Gennarino che mi fa la pizza e mi sento a casa”. Poi era anche molto generoso, se qualcuno veniva a chiedere da mangiare perché in difficoltà, non lo faceva pagare, forse perché aveva conosciuto la fame anche lui

Ma il segreto della sua pizza?

 Il segreto stava nelle sue mani, pesava ogni ingrediente come un grande musicista suona ad orecchio. E io ho imparato da lui, come lui ha imparato da altri, rubando con gli occhi

Una delle ultime immagini di Gennaro mentre impasta una pizza. Morirà il 19 ottobre del 2016

Che marito era Gennaro? Chiedo alla signora Anna Maria

Era un marito affettuoso, litigavamo solo per i figli  ma  soprattutto per Pasquale, poi però finiva lì. Quando tornava a casa, mi dava un bacetto, e mi chiedeva di fare pace

Mio padre amava la pizza di Gennaro e quelle rare volte che si faceva convincere ad andare a mangiarla da qualche altra parte, diceva sempre la stessa cosa: “Però la pizza di Gennaro è un’altra cosa” e devo dire che aveva ragione. I padri hanno sempre ragione.

Sulla vetrina di ingresso della pizzeria c’è scritta una bella frase che recita così:

                                                   Pizzeria Gennaro

                                                          Dal 1971

                                            La buona storia di Latina

                                

Ringrazio Pasquale e sua mamma Anna Maria per la loro cortese disponibilità. Saluto  gli altri tre figli, Stefania, Concetta e Bruno.