
La settimana santa di Maria di Magdala nella mia educazione
29 Marzo 2021C’è un tempo eccezionale, un tempo in cui la meraviglia ruba la scena allo sconforto. Sapete pesa su me una educazione non siberiana, ma lepina, una educazione rigorosa e piena di limiti per il concilio di Trento e fermare ogni eresia, utopia, piacere di vivere. Tutto era legato al soffrire, viatico per risorgere. Questo tempo, questa settimana era la lezione ripetuta, ripetuta, così tanto ripetuta che ancora ora riemerge, invade, frena la mia libertà e il suo bisogno. Mi dice che gli osanna diventano odio, che per risorgere bisogna morire ma con gran pena. Certo rinascere è dura e non hai più il corpo, come dire se ti liberi di vivere sei libero di pregare. Forse per questo sento la forza di una libertà non donata, ma negata, conquistata e non ereditata.
Domenica delle palme, sepolcri, via crucis, poi risorgere e dentro ogni dolore, mai alcun piacere. Eppure in un angolo di questa storia quell’uomo chiamato dal padre a soffrire aveva una donna che lo amava non perchè Dio, ma come uomo, come uomo che aveva avuto di lei rispetto, attenzione, si era fermato a parlare, a condividere. E quel rigore di vivere per diventare salvati diventa passione di essere uomini. Certo questo non è nel racconto di chi teme la forza più forte di questo vivere, la vita e lo scambio tra eguali per trovare non conforto, ma forza di vedere le cose nel loro verso.
Ogni volta di questo tempo cerco di capire me nella mia educazione, nel suo rigore, nella impossibilità dell’errore perché il libero arbitrio non è previsto.
Eppure nelle pieghe di questo discorso sfuggì loro quel che restava del disordine, conservato da contadini che avevano la morte certa davanti e la vita eventuale per un fato scostante. Tra le righe del miracolo divino di far venire il grano c’era la loro umana fatica. Così nacquero le mie domande e le risposte non erano scritte nei libri giusti, corretti, perfetti.
Poi in libro mi venne a cercare, di un portoghese Josè Saramago che di quella terra dove finiva il mondo conserva la malinconia, l’idea della fine e i pensieri che ti vengono sull’orlo del baratro, che immaginò un Vangelo non scritto da esegeti ma da lui stesso: un Vangelo scritto da Gesù. Mica ci avevo pensato, Dio non scrive storie da un buon esempio, fa parabole, detta ordini. Qui invece scrive sentimenti, timori, ha con il padre i segni che ogni padre ha con i figli, il suo peso e la volontà di uscirne.
Una chiave per capirmi dentro una educazione che mi ha fatto così senza altro, profonda, segnante. I libri ti vengono a trovare e questo bisogno che abbiamo di capire e non di rassegnarci ci fa quel che siamo, umani.
Ora guardo la sesta stazione della Via Crucis, il nazzareno coronato di spine, sotto la croce e frustato nella fatica di incedere e penso a quella donna che accanto lo guardava non da bestemmiatore come i sacerdoti, non da capro espiatorio come la canaglia, non da salvatore come i fedeli, ma da uomo condannato dal suo destino, condannato dal disegno del Padre che “Dio mio, dio mio perché mi hai abbandonato?”
Sotto la Croce il dolore di ogni madre, la pietà di una donna. E il male talvolta sta nascosto nel bene e viceversa.
Questi giorni sono speciali, non banali; in sette giorni una storia incredibile.
In quell’istante, ultimo e finale, Maria di Magdala posa una mano sulla spalla di Gesù e dice, Nessuno ha compiuto tanti peccati in vita per meritare di morire due volte, a quel punto Gesù lasciò ricadere le braccia e si allontanò per piangere.
Josè Saramago, il Vangelo secondo Gesù
Nella foto: Maria di Magdala e Santa Caterina – Raffaello