E’ morto Franco Schiano, io ho perso un amico con cui discutere. Oggi ricordo la sua bandiera quella dei borboni

E’ morto Franco Schiano, io ho perso un amico con cui discutere. Oggi ricordo la sua bandiera quella dei borboni

26 Giugno 2021 0 Di Lidano Grassucci

Franco Schianom è morto questa notte. Franco ha lavorato con me a Il Territorio, e lui dal primo articolo con accento ponzese mi chiamava “direttore” con quel senso di rispetto dignitosissimo che hanno gli uomini del sud, i galantuomini del sud. Era fieramente dalla parte dei borboni quanto io dalla parte degli italiani e dell’Italia unita.

Pubblicai un suo bellisimo articolo suo in cui sosteneva le sue tesi. Dissi: “Franco, sai che ci faccio la chiosa”. Lui “direttore, certo che ce la fa. Non sarebbe da lei non farla”.

Questa è la chiusa di quell’articolo del 20 novembre 2020

Ospito con grande piacere un articolo del mio amico Franco Schiano sulla presa di Gaeta da parte degli italiani. Franco, sa che la mia idea sugli eventi narrati è molto distante dalla sua, sa che sarei stato con i ragazzi che prendevano a cannonate i vecchi arroccati a Gaeta. Sa che amo il tricolore (come la bandiera rossa dei socialisti) sopra ogni cosa. Ma quei ragazzi, la mia, parte ha combattuto per la libertà e per vincere dobbiamo garantirla anche a chi la pensa diverso, altrimenti saremmo eguali a chi abbiamo combattuto e avremmo perso. Grazie ancora Franco e viva l’Italia che è fatta di mille differenzcome le nostre 

Ripubblico anche l’articolo di Franco, che era anche socialista come me. E lo pubblico perché come fa dire Guareschi a Peppone che doveva esaudire l’ultimo desiderio della sua maestra che era quella di essere sepolta con la sua bandiera, quella del Re: “ogni uomo ha diritto ad essere sepolto con la sua bandiera”.

La bandiera del socialismo, caro Franco, la condividevamo quelle dei Borbone è tutta tua, ma devi indossarla.

Questo l’ultimo articolo che Franco ha scritto per me, con me, per la sua libertà

 

GAETA 12 NOVEMBRE 1860: L’INIZIO DELLA FINE

Era il 12 novembre del 1860 quando la piazzaforte di Gaeta viene colpita dalla prima bomba, dopo che con una manovra accerchiante operata da ingenti forze, i piemontesi respinsero dentro le mura di Gaeta le Truppe Borboniche che difendevano le colline circostanti. Per la prima volta le batterie della Piazzaforte di Gaeta aprirono il fuoco contro i nuovi assedianti che, senza dichiarazione di guerra, avevano violato i  confini e mosso guerra al pacifico Stato delle Due Sicilie.

Una data nefasta per Gaeta e per tutto il Sud. Quel 12 novembre fu il primo di 58.400 giorni di inarrestabile decadenza che dura tutt’oggi e che dopo 160 anni non accenna ad arrestarsi. Gaeta da seconda capitale del Regno, prima decadde al rango di semplice piazzaforte, fino perdere, col ruolo di capoluogo di distretto, l’importanza  che aveva in un vasto territorio  e lentamente ma inesorabilmente tutti i suoi uffici. Per il resto del Sud iniziò un periodo di  spoliazioni e ed emigrazione che non sono mai finite. Hanno cambiato solo pelle e modus operandi. Prima smontavano le industrie del sud per rimontarle al Nord. Dopo facevano finta di fare il contrario: gli imprenditori del nord aprivano nuove industrie al Sud che immancabilmente chiudevano dopo pochi anni, a furto consumato, ossia dopo aver intascato dallo Stato migliaia di miliardi. Prima emigravano poveri contadini rimasti senza terre. Oggi emigrano con Laurea e Master.

Insomma la colonizzazione iniziata quel 12 novembre del 1860 col primo colpo di cannone contro le mura di Gaeta, l’ultimo caposaldo del Regno del Sud, non è ancora cessata e non so se un giorno finirà.  Forse il Regno delle Due Sicilie non era il paese del bengodi, ma è difficile pensare che saremmo stati peggio di oggi. Ci piace pensare il contrario. Nostalgie filo borboniche? Forse, ma almeno noi del sud saremmo stati cittadini e padroni, non indigeni colonizzati e servi.  Il 12 novembre dovrebbe essere giorno di lutto per la nazione del sudista. Di tutti i sud del mondo, che poi sono anche tutti i vinti del mondo.

Franco Schiano

 

Ciao Franco, un galantuomo