Mennea e Simeoni: la maledizione olimpica di Mosca ’80

20 Ottobre 2021 0 Di Francesco Toldo

Mennea e Simeoni: la maledizione olimpica di Mosca ’80

Il 1980 fu un anno nero per l’Italia.
Due stragi ravvicinate impresse in tutti noi. Il 27 giugno, tra Ponza e Ustica, cade in mare l’areo della compagnia Itavia: 81 morti, nessun sopravvissuto. Il 2 agosto, alla stazione di Bologna, una bomba uccide 85 persone e ne ferisce 200.

La Guerra fredda sportiva

Il giorno successivo, 3 agosto, allo Stadio Lenin di Mosca calava il sipario sull’Olimpiade organizzata in pompa magna dai sovietici e boicottata per protesta da 65 paesi guidati dagli USA. Il motivo: l’invasione russa dell’Afghanistan del 1979. Tuttavia nell’ambiente sportivo c’è chi pensa che gli americani abbiano voluto “salvaguardare” la credibilità internazionale, temendo che i propri atleti potessero finire nelle maglie strette dell’antidoping in terra straniera e nemica. Evitando così clamorose positività e conseguenze politiche assai fastidiose. Non fidandosi delle garanzie del Comitato Olimpico Internazionale (CIO).
Fatto sta che Mosca ’80 fu monca come la successiva Olimpiade di Los Angeles 1984, quando i paesi del blocco orientale (tranne la Romania), ripagarono della stessa moneta gli USA. Forse temendo
le medesime conseguenze a parti invertite: il muro di Berlino era ancora ben saldo. Il 1989 ancora lontano.

I raggi di luce italiani

L’Italia partecipò con la bandiera del CIO rinunciando al tricolore e solo con atleti non appartenenti a squadre militari. Ad illuminare quell’estate funesta ci pensarono Pietro Mennea e Sara Simeoni, omaggiati da Samuele Bersani in “Che vita!”. Mennea, dopo il record mondiale dell’anno prima, vinse l’oro nei 200m sull’inglese Wells con un recupero incredibile negli ultimi 50m. Sara Simeoni, con la sua leggerezza, saltò 1,97m nel salto in alto cogliendo un’oro storico nell’atletica italiana. Nel complesso portammo a casa 8 ori, 3 argenti e 4 bronzi.

La maledizione sui sovietici

L’URSS vinse nettamente il medagliere sulla Germania Est e la Bulgaria. Quei fasti olimpici, ormai lontani, si sono trasformati in una maledizione. Uno stillicidio senza fine di atleti medagliati, un tempo eroi.
Valery Podluzhnyi, un nome che non vi dirà nulla, è morto pochi giorni fa a 69 anni. L’ultimo di una serie nera. Fu medaglia di bronzo nel salto in lungo. Come per altri 14 suoi sfortunati compagni di squadra, non è riuscito ad arrivare ai 70 anni. Dopo l’intero podio del lancio del martello.
Ecco tutti gli altri: Jüri Tamm (deceduto nel 2021 – 64 anni) – bronzo lancio del martello; Yuriy Sedykh (2021 – 66 anni) – oro lancio del martello; Vladimir Kiselyov (2021 – 64 anni) – oro lancio del peso; Tatyana Prorochenko (2020 – 67 anni) – oro 4×400; Aleksandr Aksinin (2020 – 65 anni) – oro 4×100; Sergey Litvinov (2018 – 60 anni) – argento lancio del martello; Yuriy Kutsenko (2018 – 66 anni) – argento lancio del martello; Saida Gunba (2018 – 59 anni) – argento lancio del peso; Nadezhda Olizarenko (2017 – 63 anni) – oro 800 metri; Satymkul Dzhumanazarov (2007 – 55 anni) – bronzo maratona; Yevgeniy Ivchenko (1999 – 61 anni) – bronzo 50 km marcia; Mikhail Linge (1994 – 37 anni – morto in circostanze misteriose) – oro 4×400; Piotr Pochynchuk (1991 – 35 anni) – argento 20 km marcia; Andrey Prokofyev (1989, 30 anni – suicidato)
– oro 4×100.
Lungi dal voler fare collegamenti forzati in merito a questi decessi, devo ricordare che il “doping di Stato” nel blocco orientale è storia. Non riguarda solo la Germania Est, abusato capro espiatorio del doping. Come coinvolge anche i paesi occidentali con i loro medici stregoni, Francesco Conconi docet.