
Il coro di Odessa nel Va pensiero della luna di Kiev
13 Marzo 2022INCIPIT
Confesso, ho pianto. Vedete l’idea di Patria me l’ha trasferita mia nonna. Donna pia, cattolicissima, e patriota. Così italiana che per l’Italia non ascoltava neanche i preti. La sera prima di dormire mi leggeva il libro Cuore quello di Edmondo De Amicis, e piangeva con me per una vedetta lombarda, un tamburino sardo…
Ma mai odiando, mai. Non mi disse mai male degli altri, mai, mai di nessuno. Solo, e solo, se si parlava dei tedeschi lei restava silente, come di ghiaccio. Come se sperasse di dimenticare e di fermare qualche cosa di troppo brutto per toglierlo dalle ragioni.
Poi finito il libro Cuore, mi spiegò Verdi, ma non per musica ma per libretti. Mi spiegò come una Patria può farsi pensiero e…
Va, pensiero, sull’ali dorate
Va, ti posa sui clivi, sui colli
Ove olezzano tepide e molli
L’aure dolci del suolo natal!
Era intonata e in chiesa negli inni al Signore la sua voce stava una nota sopra e anche di più, nella gara mai finita che altre pie donne di medesima pia virtù.
Poi sui libri e nella vita ho visto altri che spiegavano che non eravamo Patria, ma pellegrini ospiti in terra nostra, orfani del mondo. Con miei concittadini che già avevano incassato l’assegno per dire che gli altri erano meglio.
Vedevo grandezze, imperi, tecniche. Eravamo una espressione geografica (guardate che caso, lo dicono anche oggi degli ucraini, dicono che non ci sono mai stati, che non esistono).
Oh mia Patria sì bella e perduta!
E nonna piangeva per la Patria che aveva ma di tanto patimento.
IL FATTO
Odessa, 2022. Una giornata di sole di marzo. Il coro del teatro intona un canto in piazza. Una bandiera, e le voci. Niente in mano, una bandiera e le voci.
Sono in piedi uomini e donne, il coro deve cantare in piedi per via della voce che percorre tutto il corpo nel suo orgoglio e puoi viene fuori come esplosione. Gli archi accompagnano, sembra levarsi un pensiero a questo vento.
Cantano in italiano, un dramma italiano che è l’umano dramma dei senza patri di quelli che per i potenti sono “espressione geografica”. Eccola la bellezza come se quella lingua non fosse umana, ma della musica e la musica non è una espressione geografica è umana.
Sì ho pianto. Per loro, per questo mondo, per la gente chiamata ad un inutile e stupido soffrire, per mia nonna che mi ha insegnato l’orgoglio di essere se stessi a schiena diritta senza chiedere genuflessioni mai genuflettendosi.
LA POESIA
Chissà se la luna
di Kiev
è bella
come la luna di Roma,
chissà se è la stessa
o soltanto sua sorella…
“Ma son sempre quella!
– la luna protesta –
non sono mica
un berretto da notte
sulla tua testa!
Viaggiando quassù
faccio lume a tutti quanti,
dall’India al Perù,
dal Tevere al Mar Morto,
e i miei raggi viaggiano
senza passaporto”.
Gianni Rodari, la luna di Kiev (1951)