Perchè racconto e la verità di Franco. Dedicato a Franco Pallamanca

Perchè racconto e la verità di Franco. Dedicato a Franco Pallamanca

4 Giugno 2022 0 Di Lidano Grassucci
Questo pezzo è datato, è del 2015 e nasce da un articolo letto su La Repubblica di allora. Mi piace riprenderlo così come era, c”è il ricordo di un amico. Il senso è forse solo quello, o no?
Perché racconti? La domanda se la pongono Alessandro Baricco e Jonathan Coe durante un incontro a Londra, nel centro italiano di cultura, a cui La Repubblica dedica due pagine di resoconto. “Se una cosa non la racconti, semplicemente non esiste” dicono i due scrittori. Se non dici, se non lo riporti, la cosa “non c’è”, e il silenzio è questo “far sparire le cose e le persone”.
Il silenzio è oblio, è il nero di notti passate senza sogni, senza incubi, passate semplicemente passate.
Il silenzio è l’ assassino delle cose e poi? Poi c’è il miracolo che è raccontare di fate e orchi, di Pollicino e gatti con gli stivali. Lì il raccontare diventa la meraviglia del miracolo di creare, il delirio folle di essere dentro un altro ardore, dentro il mondo verissimo della fantasia.
Chi scrive, chi ha il delirio del racconto, ha la follia dentro che nel folle è seguire le farfalle.
Ho imparato a raccontare dai racconti fitti di mia nonna, ma anche dalla fantasia di un ragazzo, si chiamava Franco, che nel tempo lungo dell’estate in cui il sole pare non voler mai tramontare, ci raccontava storie strampalate e ci nominava cavalieri, Re, frati e contadini e poi non erano ingenue spade di legno, o corone di latta a farci veri ma il fascino in cui ci perdevamo in queste storie.
Franco era di una fantasia che oggi definirei “fantastica” era come i fratelli Grimm, se non fosse stato solo, se non fosse nato in questo paese dove le storie si raccontano e vivono, ma non si scrivono e muoiono scomparendo così come sono apparse.
Caldo di paglia e non brace di ulivo. Baricco e Coe seguono il loro racconto, io sono fuori nel mio. Franco mi avrebbe detto come far vero il pianto, come serviva ridere se la storia era di giullare.
Sarebbe stato un grande raccontatore Franco, avrebbe raccontato di quel nostro piccolo mondo fatto di cose di risulta, di rifiuti del tempo e di una società poverissima che cominciava a consumare e lasciava la paura della fame, la lasciava sola e nasceva una paura nuova, quella della solitudine ed è una povertà ancora maggiore.
Franco finì per fare l’operatore ecologico, passò l’infanzia delle storie io andai via dal paese, lui andò via dalla sua fantasia e si fece uomo serio.
E’ morto presto, però ricordo che ogni volta ci capitava di incontrarci, tra discorsi serissimi, uno sguardo alla scopa che aveva in mano la facevamo insieme e di ritorno immaginavamo streghe volanti su quelle scope, passioni ardenti e un gatto che miagolava vicino ci testimoniava che era vero.
Abbiamo raccontato, abbiamo visto cose che voi non vedrete mai. Abbiamo creato. Raccontare è questo, un Franco che guarda il mondo e ne fa uno tutto suo con una banda di piccoli occhi che “ascoltavano”, perché noi il racconto lo abbiamo visto. Baricco e Coe? Forse avranno conosciuto Franco.
Ciascuno di noi ha un amico che si chiama Franco.
Nella foto: Jan MatejkoStańczyk durante un ballo alla corte della regina” 1862