Il “viaggio” tra Sermoneta e Bassiano: la mia domenica sull’Ammazza-cani

Il “viaggio” tra Sermoneta e Bassiano: la mia domenica sull’Ammazza-cani

13 Marzo 2023 0 Di Davide FacilePenna

Ogni tanto, in genere la domenica o il sabato, “mi prende il pazzo”, come si diceva, da ragazzi, dalle parti mie.
Indosso scarpe comode, compro due pantagruelici panini al Forno Manauzzi e poi, zaino in spalla e Nostrano del Brenta tra le labbra, mi lancio, solitario, nei percorsi fuoriporta dei Monti Lepini, o Monti Lupini come dice una mia
amica di Roma.
Sono, si sappia, un “pre-appenninista” e non certo alpinista, quindi se scavallo i millecinquecento metri d’altezza è come se fossi arrivato sull’Everest.
Questa domenica ho tentato una sfida inedita, per me; il percorso cost to cost, anzi hill to hill, da Sermoneta a Bassiano, attraverso l’Ammazza-cani.
In realtà, la strada in questione si chiama, ufficialmente, in un altro modo, ma per ciclisti e camminatori, è, da sempre, l’Ammazza-cani.
L’origine dell’inquietante nome non l’ho mai saputa con certezza. Una leggenda, raccontatami da un vecchio saggio (o cazzaro?), narra che, in un passato remoto, ci si praticassero feroci spedizioni punitive rivolte verso le bande di famelici cani (magari lupi?) ritenuti assalitori delle greggi di capre del posto; del resto, quella, è, ancora oggi, zona di “casari” e l’oro bianco alimentare valeva molto per gli autoctoni.
Magari, più semplicemente, è un antico termine dialettale con cui ci si riferisce alle grosse pietre che si incontrano lungo il percorso (le “mazza-cane”).
Personalmente ho, sempre, immaginato che il lugubre nome fosse un riferimento al fatto che quelle terribili salite siano in grado di stroncare anche le gambe dei più forti “cagnacci” del podismo o della bicicletta.
Incurante dell’irrisolto mistero, inizio l’epica, per le mie forze, traversata Sermoneta-Bassiano dallo spiazzo del Convento San Francesco, che ci hanno regalato i fraticelli del XIV Secolo.
Dato che mi ci trovo, faccio pure un salto a salutare mio papà, che da un paio d’anni risiede, suo malgrado, al Cimitero Comunale di Sermoneta. Appena metto piede in strada, però, vengo affiancato da un gigantesco cane bianco, che porta un collare con un ciondolo a forma di cuore verde.
All’inizio un po’ mi preoccupo ma, in realtà, capisco che è buonissimo e, anzi, mi ricorda un po’ il Fortuna-Drago di Atreju.
E’ scappato da qualche casa o precede la coppia che sta cento metri dietro di me?

Non riuscirò a capirlo, ma mi seguirà, silenzioso, a distanza, per quasi tutto il percorso, tra alberi verdissimi e porcellanose mucche chianine dalle immense corna.
Falkor si ferma all’imbocco del sentiero ad anello che gira intorno al Monte Carbolino e pare voler rimanere, di guardia, sulla strada principale. Invece io mi infilo nel bosco e passo sopra i resti del vecchio insediamento pre-romanico, quello che, per alcuni, cioè io, fu la vecchia Sulmo, ovvero l’origine, mitologica, della mia Sermoneta.
Mi piace da matti ripetere questa storia che noi sermonetani c’eravamo prima di Roma, pure se, forse, è una sonora boiata. Lo pensavo più breve il percorso ad anello, invece ci metto un bel po’ di tempo ma alla fine spunto, felice e stremato, al Santuario del Crocefisso di Bassiano.
Dentro il Santuario c’è il meraviglioso crocefisso in legno scolpito nel 1673 da Frà Vincenzo Pietrosanti.
Stanco e accaldato mi siedo su una panchina per dare, finalmente, nutrimento al corpo, oltre che allo spirito.
Sto per addentare l’agognato “panozzo alla presutta”, di Bassiano ovvio, quando vedo arrivare una Yaris bianca guidata da una signora, che strombazza il clacson con decisione. All’inizio penso ce l’abbia con me, ma non capisco, assolutamente, il motivo.
Infatti, non ero io l’oggetto dello strombazzo. Appena la clacsonante signora scende dall’auto compaiono, almeno, sette bellissimi gatti, che stavano nascosti nel giardino del Santuario.
E’ la loro “gattara” che gli porta la pappa della domenica. Salutata la “gattara del Santuario” decido che è tempo di ritorno, però evito di ripetere l’anello del Carbolino; adesso sarà tutta “Ammazza-cani” fino alla mia cara Clio.
L’Ammazza-cani mi regala però un’ultima, incredibile, sorpresa all’altezza della “Casermetta”, una ex caserma della Forestale ristrutturata dall’Università Agraria anni fa.
Lungo la strada, seduto in mezzo ad un prato, rivedo il mio bianco cagnone di scorta. Falkor alza la testa, mi guarda e si riaccuccia sereno. Ha svolto il suo compito di guida senza farsi spaventare dalla, falsa, leggenda dell’Ammazza-cani.