Il generale Vannacci e la libertà dei militari

Il generale Vannacci e la libertà dei militari

22 Agosto 2023 0 Di Davide FacilePenna

Premessa doverosa: questo è uno scritto noiosissimo perché è molto lungo e vi si discute, principalmente, di leggi e polverosi regolamenti. Non vengono sostenute tesi pro o contro la normalità o la a-normalità. Non ci si interroga sulle minoranze che erigono dittature. Non si sostengono Guelfi o Ghibellini. L’autore, che poi sono io, vuole, presuntuosamente, trattare un tema complicato e serio che trascende, a suo avviso, la cronaca quotidiana.

In questi torridi giorni di fine Estate (Estate in vero mite rispetto a quella precedente) un argomento di cronaca politica tiene banco su giornali e televisioni nazionali e sotto l’ombrellone dei vacanzieri (molto meno però). Una diatriba che ha generato contrapposizioni politiche, l’intervento del Ministro della Difesa Crosetto e dibattiti feroci tra e dentro i partiti.

E’ la questione del libro “Il Mondo al Contrario” autoprodotto dal Generale Vannacci e delle conseguenze che ne sono scaturite per l’autore.

Non dirò la mia sul contenuto di quelle opinioni, anche perché non ho letto il libro e non lo farò.

Per quel poco che ho capito dagli estratti si tratta di parole in libertà, nemmeno tanto originali, sull’universo mondo. Cose che ho già sentito decine e decine di volte negli ultimi anni mentre prendevo il treno o ascoltando qualche comizio. Nulla di scandaloso o sorprendente, per come la vedo io.

Ho approfondito i temi della “dittatura delle minoranze” e della “deriva della cultura woke” o della “decadenza dell’Occidente” dagli scritti ben più complessi di importanti filosofi e studiosi, che ci dedicano neuroni e tempo da almeno dieci anni.

La lettura del libro del Generale nulla potrebbe aggiungere a quello che ho già valutato e sentito in merito. Non mi interessa nemmeno disquisire sulla tendenza italica allo “stiramento della Costituzione”, che ognuno plasma e utilizza pro domo sua, dimostrando di conoscerla poco e ad averla capita ancora meno.

Col paradosso di qualche burlone, ammiratore di regimi dittatoriali, che insulta e disprezza, ogni giorno, la Carta del 1948 ma, poi, ciclicamente la chiama in causa, quando serve, per proteggere gli affaracci propri.

Del resto siamo o no un popolo di Commissari Tecnici della Nazionale, Ministri dell’Economia e Costituzionalisti? Ciò che desta il mio interesse riguarda il tema sottostante ovvero i limiti, se ce ne sono, della libertà d’espressione, specie per alcune categorie di cittadini che ricoprono funzioni particolari.

In questo caso si tratta dei militari, ma potrebbe valere benissimo per i magistrati o per chi ricopre particolari ruoli istituzionali.

Partiamo dall’articolo 21 della Costituzione, tanto richiamato in questi giorni L’art. 21 così recita, al primo comma, così “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

E’ il primo comma, poi ce ne sono altri ovviamente, ma questo è il punto di partenza. Perciò ognuno di noi, civile o militare che sia, può esprimere la propria opinione. Non si ravvisa nessun dubbio in merito, dal punto di vista generale. Ma che significa in concreto? che tutti possono scrivere e dire sempre quello che gli passa per la testa? Non ci vuole Sabino Cassese per capire che non è proprio così. Innanzitutto c’è una precisazione, ovvia, che vale sempre per ogni cittadino.

Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero non è garanzia di impunità assoluta per il contenuto di quel pensiero. Sia nei casi in cui si offenda la dignità e la reputazione di altri, sia quando si voglia vilipendere le Istituzioni, sia quando si dicano cose palesemente in contrasto con i principi base della convivenza civile, come ad esempio l’incitamento all’odio razziale. In merito c’è, tra le altre, una famosa sentenza della Corte di cassazione (Cass. 37581/08): “Il principio costituzionale della libertà

 

di manifestazione del pensiero, di cui all’art. 21 Cost., non ha valore assoluto, ma deve essere coordinato con altri valori costituzionali di pari rango” Questo, che è già un bel limite, vale per tutti.

Ci sono dei limiti per alcune particolari categorie di cittadini, tra le quali i militari, che discendono dai regolamenti interni? In questo caso la risposta è affermativa, pur partendo dalla certificazione della libertà di manifestazione del pensiero, che vale pure per i militari.

L’articolo 1472 del COM (Codice dell’Ordinamento Militare) recita infatti: «I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare (o di) servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione.  Essi possono, inoltre, trattenere presso di sé, nei luoghi di servizio, qualsiasi libro, giornale o altra pubblicazione periodica.  Nei casi previsti dal presente articolo resta fermo il divieto di propaganda politica”.

Pensare del resto che i militari debbano starsene sempre zitti e dimenticarsi di essere cittadini, se non per schiattare in guerra, sarebbe accettabile solo nei regimi totalitari o in culture arretrate. I militari di ogni ordine e grado possono liberamente manifestare il proprio pensiero in ogni forma e senza necessità di autorizzazioni, pure quando sono ancora in servizio effettivo.

Possono farlo, a patto che non si tratti di argomenti riservati e di servizio e che non si faccia propaganda politica.

I militari, allora, non possono mai fare propaganda politica? Possono farlo, invece, ma a determinate condizioni: fuori dall’orario di servizio; fuori dalle caserme c) senza indossare l’uniforme; d) e non qualificandosi, in relazione ai compiti di servizio, come militari (articolo 1350 COM).

Il senso di queste limitazioni è quello di mantenere le Forze Armate “neutrali” di fronte all’agone politico. L’articolo 1483 del COM dice chiaramente “Le Forze armate debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche” Perciò qualunque militare può esprimere il proprio pensiero, anche politico ed anche in tono polemico, a patto che non trascini il suo Corpo d’Appartenenza nella contesa politica.

Questo impone alcune cautele di base ai militari, che sono maggiori quanto maggiore è il grado e la funzione di chi esterna.

Per intenderci, l’impatto che hanno delle considerazioni politiche fuori luogo di un Appuntato dei Carabinieri di Carpineto Romano, non è lo stesso di quello del Comandante Regionale del Lazio e nemmeno le valutazioni disciplinari conseguenti.

Di queste limitazioni sono coscienti tutti i militari al momento dell’arruolamento, perché tutti hanno letto (si spera) il primo articolo del regolamento di disciplina militare: «il cittadino che fa parte delle Forze Armate volontariamente o in adempimento degli obblighi stabiliti dalla legge sulla leva. Al militare spettano i diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini. Egli è soggetto a particolare disciplina, a doveri e responsabilità nonché a limitazioni nell’esercizio di taluni diritti previsti dalla Costituzione definite dalla legge e riportate nel presente regolamento»

La questione del Generale Vannacci, che verrà discussa nei modi e nei tempi previsti dalla disciplina militare, non potrà a mio avviso riguardare, il diritto alla libera manifestazione del pensiero in sé o la natura delle sue opinioni, ma se il l’ufficiale sia venuto meno alle regole che delimitano le modalità di espressione del pensiero, per un militare di quel rango e di quel ruolo.

Pensare ad altro tipo di valutazioni, al momento, non è possibile. Le questioni da appurare saranno, in primis, le seguenti: Lo ha fatto in servizio? Lo ha fatto qualificandosi come Generale dell’Esercito? Ha trascinato la sua Amministrazione nella contesa politica? Ovviamente se in quello che ha scritto si ravviseranno addirittura violazioni penali, cambierebbe la natura del procedimento e la situazione si farebbe molto più delicata. Però al momento non sembra si vada in questa direzione, con il paradosso che il Generale potrebbe essere sanzionato non per quello che ha scritto, ma perché si è qualificato (se lo ha fatto) come Alto Ufficiale dell’Esercito.

Certo, detto questo, poi ci sono anche valutazioni diverse e legate all’opportunità politica, che hanno portato al giusto, a mio avviso, intervento del Ministro Crosetto. Può rimanere ai vertici dell’Esercito un funzionario che ha espresso posizioni di parte ed ideologiche?

Il Generale dice che sono valutazioni di buon senso, ma questo lo dice lui. Potrà sembrare strano, ma non c’è concetto più personale che quello del buon senso.

Qualcuno dirà, a ragione, che negli ultimi anni, anche alcuni magistrati in servizio hanno travalicato, con le dichiarazioni, i limiti della neutralità politica della loro Istituzione. Infatti, pure loro, hanno fatto una gran boiata a mio avviso.

 

PS Tra pochi giorni il dibattito sul Generale-Scrittore verrà dimenticato e passeremo a dividerci su qualche altro tema con la stessa ferocia e violenza (verbale fortunatamente), che sia il nuovo allenatore della Nazionale o l’adesione al MES. Sarà invece interessante seguire il percorso del procedimento instaurato dello Stato Maggiore dell’EI, perché il tema di base è molto più interessante della polemica che ci gira attorno. Magari sarà il modo di parlare anche del rapporto dei militari italiani con la società e lealtre Istituzioni e delle norme ne sono alla base.