A Latina siamo ancora all'”urbanistica in genere” nel mondo sono all'”urbanistica di genere”: il paradosso di Burri e le pere
22 Agosto 2023NOTE DI LETTURA
Questo articolo aggiunge al non dibattito urbanistico in corso nella città presa da nuove ansie “costruttrici” come al solito prive di contestualità culturali e politiche. Aggiunge e non è contro nulla ma a favore del pensare diverso per trovare sintesi possibili nella logica della riduzione del danno.
Il piano regolatore di Latina è stato concepito negli anni ’60, attuato dagli anni ’70 e ora giunto al ritorno ai piani particolareggiati (eccezioni sulle parti del piano) che sarebbe come autorizzare i rigori ad una sola squadra dopo che la partita è finita abbondantemente e il risultato è valido per il campionato di 10 anni fa. Intanto il mondo muta. Questa chiusura non è esclusiva di chi guida la città ma patrimonio del dibattito culturale della città nel suo insieme.
Le cose ti vengono addosso anche se non le vuoi. Accendo la radio dell’automobile, per compagnia, strade diritte non è certo fatica guidare qui. La conduttrice del programma annuncia l’interlocutrice, è una signora presidente dell’associazione Sex in the city di Milano. Penso… parleranno di cose piacevoli. Aggiunge la stessa conduttrice che si tratta di un architetto. Penso sul pensato “sarà un architetto gaudente”. La mia ignoranza diventa evidente quando l’architetto in questione comincia a parlare di “urbanistica di genere”, di città a misura di uomini, donne e altro in ragione del loro uso. Da ignorante provincialotto entro in tutta la mia ironia: sarà qualche stupidata politicamente corretta. Invece l’architetto argomenta su oltre 60 progetti approvati dalla municipalità di Vienna con fondi dell’unione europea in 10 anni di lavoro articolato e complesso, e a Barcellona hanno avviato già un percorso analogo aggiungendo le esperienze in atto a Milano.
Capisco che il mondo muta e…
Mi sento come un cugino di Memmo Guidi che uscito dal liceo artistico, erano gli anni ’70, si sentì, con i suoi colleghi, già Pieter Claesz il re delle nature morte. E via a dipingere pere, mele, pane tagliato. Poi i nostri andarono a Milano dove c’era una personale di Alberto Burri: plastiche bruciate, sacchi tagliati, cretti. Rimasero senza parole all’uscita il cugino di Memmo (da bassianese arguto) commentò “E nu facemo ancora le pere, non ci semo capito un cazzo”. Tornato a casa butto tele, tavolozze e pennelli e fece altro.
Ecco a Latina stiamo ancora parlando di “urbanistica in genere” e il mondo sta già all'”urbanistica di genere”. Noi siamo ancora alle casette per gli impiegato con le palmette a due piani, dentro piani degli anni settanta e curati con “particolarità”. Cioè facciamo eccezione di un pezzo di città programmato negli anni ’60 da Piccinato. Ragioniamo in genere su una idea sessanta anni fa in una società che ha bisogno di genere. La chiosa del cugino di Memmo ci sta tutta.
L’IDEA
Ridisegnare le città in una prospettiva di genere significa «concepire lo spazio urbano in modo flessibile, con la capacità di rispondere ai bisogni, ai desideri e alle rappresentazioni socio-spaziali della diversità dei soggetti, incorporando i diversi modi di vivere e di rendere effettivo il diritto alla città»
(Tello, 2009: 288).