Sermoneta tra la bellezza della storia e la mediocre attualità

Sermoneta tra la bellezza della storia e la mediocre attualità

31 Gennaio 2024 0 Di Davide FacilePenna

Non sono nostalgico e non ho mai ceduto al fascino del falso mito dell’età dell’oro.
La storia è ciclica come diceva Machiavelli e la natura dell’uomo sempre uguale, ma non per questo vanni rimpianti i bei vecchi tempi andati, dico io. Non è oggi l’età dell’oro e non lo era nemmeno cento o mille anni fa. Anzi, a ben vedere, sotto molti aspetti ce la si passa, in genere, molto meglio adesso che in passato.
Che tristezza però quando la bellezza del passato si accosta alla bruttezza del presente.
Quella appena trascorsa è stata domenica soligna (di Sole) dalle nostre parti e quale miglior modo di trascorrerla che andarsene di passeggio per le nostre strade e i sentieri sermonetani?
In questi casi basta evitare il centro storico che straripa di rumorosi turisti mangerecci o il debordante caos (che però mi piace) del mercato settimanale a San Michele. Ce ne siamo andati a zonzo in direzione opposta alla confusione ed alle macchine.
Era talmente bella la giornata che, percorrendo silenziose strade costellate di querce, quasi siamo arrivati ai Giardini di Ninfa con l’antica Norba che, seriosa, ci osservava dall’alto.
Quasi appunto, ma non fino al lago dei Giardini di Ninfa, perché i piedi poi dolgono e lo stomaco brontola.
Siamo tornati indietro da Caracupa, che oggi si chiama Sermoneta Scalo, ma ospitò, prima che nascesse Roma, una necropoli che sta ancora sottoterra (chissà quando la tireranno fuori). Abbiamo salutato, con deferenza, i resti di Sulmo sul Monte Carbolino e ci siamo ritirati alle case nostre a Ponte Nuovo.
Ultima fermata della domenica di passi, una sosta sul ponte che collega le due aree del Parco Gaia. E’ il ponte in ferro e legno che attraversa il fiume Ninfa. Il Ninfa è un fiume piccolo che però
vive di storia e natura, soprattutto in primavera, quando gli argini si colorano di mille fiori arcobaleno. Gli stessi fiori che Marguerite Chapin, piantò lì vicino tanto tempo fa. Quando passo sopra a quel ponticello mi fermo sempre a scrutare lo specchio d’acqua per vedere saettare qualche pescione o arrancare le tartarughe.
Questa volta non ho visto pescioni o tartarughe ma, solo la bruttezza della modernità.
Due carrelli della spesa gettati in mezzo all’acqua. Quelli targati Conad, l’emblema della grande distribuzione, l’unica grande impresa che ormai sta in piedi nella nostra zona. Ce li avrà gettati, credendosi pure “figo”, qualche giovane e fulgido esempio di testa di cemento che non deve vivere una vita bellissima se di diverte a distruggere quello che dovrebbe invece difendere. La versione nostrana di Fridays for Future, Ugliness for Future. Non provo rabbia però nei suoi (loro) confronti, ma solo tristezza per le monotone esistenze che possono portare a fare queste grandi cazzate.
Ora stanno lì gli emblemi della bruttezza moderna e chissà quanto ci rimarranno ancora.
A chi compete ora toglierli? Comune? Demanio? Provincia? Anzi no, ci sono le elezioni. Capace che qualcuno si muova. Almeno spero.