Goretti e il plauso a chi ha salvato Facile Penna

Goretti e il plauso a chi ha salvato Facile Penna

24 Marzo 2024 1 Di Davide FacilePenna

Come è noto io sono un “cazzaro” che scrive boiate, perché è la mia natura e perché devo seguire la severa linea editoriale del Direttore Lidano Grassucci. Questa volta sarò serio o meglio lascerò la parola ad una mia vecchia conoscenza che è persona seria, infatti ama l’anonimato e per questo lo appellerò con la sola lettera “X”. Il Signor X si è trovato a vivere, qualche tempo fa, una traumatica esperienza che lo ha fatto danzare per alcuni giorni sulla riva del fiume Stige in attesa di Caronte, ovvero se ne stava andando all’altro mondo. Questo è il suo incredibile ma vero racconto: Ti ringrazio Facile Penna e scusa l’intrusione, ma questa cosa devo raccontarla pubblicamente non per me, ma per chi mi ha salvato e per lo tzunami di affetto che mi ha investito.

Qualche settimana me ne stavo bello tranquillo sul mio divano, quando improvvisamente mi sono sentito male. Conati di vomito, mancamento di forze ed un improvviso mal di testa fortissimo e strano, come se il cervello mi friggesse. Non so come sono rimasto lucido e non ho fatto due stupidaggini che mi sarebbero state fatali: infilarmi a letto ingollando due moment o andare in ospedale da solo in macchina. Mi ci ha portato mio suocero che, poveraccio, si sarà preso uno spavento enorme. Il Pronto Soccorso del Santa Maria Goretti, come al solito, era sovraffollato con pazienti infilati ovunque. Ci ho passato, in quella bolgia, un tempo enorme sdraiato su una barella, finché a sera non mi è stata fatta una TAC e lì è cambiato tutto. Una sorta di “sliding door” tra miseria e nobiltà nata dalla diagnosi della TAC “rottura aneurisma celebrale con emorragia subaracnoidea”. Se vuoi terrorizzarti vai a vedere le statistiche di morte in questi casi. Io non ho avuto modo, per fortuna, di farlo, perché il dolore era troppo forte e perché mi hanno preso in carico quelli dell’UOC Neurochirurgia, che mi hanno messo subito in sicurezza. L’UOC Neurochirurgia è un reparto del Goretti che sembra catapultato a Latina da un altro mondo o da un altro tempo. Stanze pulitissime con uno o due posti letto e tutte dotate di TV e bagno privato. Personale medico e infermieristico, professionale e preparatissimo, attento alla salute e sicurezza dei pazienti in modo quasi maniacale. Sono stato operato, la mattina dopo il fattaccio, da una squadra di “radiologi interventisti” che collaborano con i chirurghi dell’UOC. Hanno fatto una cosa da fantascienza. Sono entrati con una sonda dalla gamba
(attraverso un buchino tipo quello fatto da un ago, solo un po’ più grosso del normale). Poi sono risaliti fino alla testa, hanno “embolizzato con delle spirali” l’aneurisma e l’hanno isolato dalla vena mettendoci due tubicini (stent si chiamano). Il tutto lavorando di fronte ad uno schermo e senza aprirmi la testa. Tre ore d’intervento difficilissimo e rischioso. Paura come ti ho detto non ne ho avuta; quella se la sono beccata le persone vicino a me che hanno capito i rischi che correvo in quelle ore. Soprattutto l’hanno provata la paura mia moglie e mia sorella, che hanno saputo quello
che io, giocoforza, non ho potuto sapere. Nelle ore seguenti l’intervento c’è stata molta apprensione e prudenza sulla mia situazione. Si dice in questi casi, prognosi riservata. Ho passato sedici giorni inchiodato a letto col carico di mal di testa e febbre (colpa del sangue che doveva riassorbirsi e dei postumi di due altri interventi fatti per infilarmi un ago nella testa che drenasse il liquor in eccesso; la famigerata DVE). In quei giorni di passione, curato e accudito meglio che a casa dal personale dell’UOC, sono stato travolto da un mare d’amore immeritato e inaspettato. Mia moglie, mia madre, mia sorella, i miei zii e cugini. Ma anche tantissimi amici e conoscenti che da ogni parte del mondo mi hanno mandato, ogni giorno, messaggi ed hanno bombardato di telefonate mia moglie per avere il bollettino giornaliero. Sono stati una forza propulsiva enorme e commovente. Ero solo, ma non da solo. I miei amici più stretti credo sia siano terrorizzati particolarmente, perché hanno rivisto la tragedia del nostro amico Alessandro morto nel 2008 a Tor Vergata.
Sai come finivano i messaggi arrivati me? Tutti con la stessa frase, “ti voglio bene”. Bellissimo. In merito al mare d’affetto devo conferire una menzione d’onore a mia cugina Sara che fa la “senologa” al Goretti ed ogni giorno, prima di prendere servizio, veniva a salutarmi e farmi forza.
Tra l’altro lei è stata la prima che, a distanza e senza TAC, aveva capito cosa fosse successo. Poi è accaduto il miracolo. Improvvisamente è passato tutto e sono tornato in piedi, vivo e sanissimo, pronto a spiccare il volo per il secondo tempo della mia vita. Lo sai che è stato in quel momento che ho avuto paura? Non per la mia vita o la morte. Ho imparato che morire non è poi una cosa così difficile, soprattutto se provi dolori insopportabili e sei costretto alla totale immobilità. Ho avuto paura di perdere tutto quel mare di affetto che mi ha travolto. Di perdere la bellezza delle persone.
Di non vedere più le cose straordinarie che possono fare certi individui per gli altri. Sarò una persona migliore? Peggiore? Sarò uguale ovviamente, ma con uno sguardo un po’ diverso sulla realtà.
Ti lascio alle tue intemerate politiche, ma permettimi, alla fine, di fare un uso privatistico di questo giornale, con buona pace di Grassucci. Voglio ringraziare pubblicamente chi ha realizzato il miracolo facendo un po’ di nomi e sperando di azzeccarli tutti, oltre che di non aver dimenticato nessuno. I medici: il vulcanico Professor Pompucci Direttore del gioiello UOC Neurochirurgia, i dottori Piragine, Ciarlo, Iaboni, Petrella, Pietrantonio, Aloisi, Toccaceli, Mastino, Sampirisi. I radiologi dell’intervento miracoloso: Messina e Pelle. Per ultimi, ma non ultimi, gli infermieri e le
infermiere che conosco per nome: Valentina, Roberta “Posillipo”, Giuseppe, Roberta “Riccia”, Monia, Maurizio “giallorosso”, Daniela, Vittoria, Carmine “il salernitano”, Tamara, Patrizia, Sonia, Spiridiona, Emanuela, Serena, Piero, Barbara e gli incredibili tirocinanti Giada, Roberto, Andreana, Ilaria.

PS A margine del racconto dell’amico X faccio io, FacilePenna, alcune considerazioni politiche che nessuno ascolterà. Il PS di Latina va immediatamente raddoppiato come spazi e personale perché le condizioni attuali sono inadatte all’utenza ed il rischio di perdersi emergenze vere è altissimo. Secondo, l’idea che a Latina non ci sia necessità di puntare sull’interventistica ad alta specializzazione perché “tanto vicino c’è Roma” è una boiata pazzesca. Ci sono situazioni in cui anche una sola ora di ritardo fa tutta la differenza del mondo tra vita o morte, abilità o disabilità permanente. In sintesi al Goretti (o quello che sarà) più spazi, più posti letto e più Reparti come UOC Neurochirurgia. Ma anche stipendi sensibilmente più alti per il personale che sceglie di andare nei reparti più “difficili” e nel Pronto Soccorso. Vogliamo incentivare chi sceglie più rischi e sacrifici? O dobbiamo sempre drenare risorse per accontentare i potenti signorotti della sanità privata? In merito mi sento di dire, che la sanità privata, col ciufolo, che avrebbe mai fatto a me quello che ha fatto l’UOC, senza uno spaventoso esborso di denaro personale. All’amico X tanti auguri, ricordandogli che deve la sua salvezza ad un incrocio, nella sventura del male, di fortuna e bravura dei medici. Oppure è vera la tesi del suo zio australiano “Hai un po’ dei mei geni. Dentro di te ci sarà un po’ della mia cattiveria e il Padreterno non ti vuole. Lui si prende solo i buoni, come ha fatto con tuo padre e l’altro tuo zio”.