Il Volo dell’Angelo, Rocca Massima rinasce ma resta con i piedi per terra
3 Maggio 2019«Ciao Franco, grazie mille è stato veramente bello parlare con te». Così termina la telefonata con Franco Cianfoni, uno dei personaggi di questa storia di rinascita che passa tramite il “volo dell’angelo”. Scendo da casa, accendo la macchina e la dirigo verso Rocca Massima, il paese più alto dei monti Lepini, che in questa giornata nuvolosa di metà primavera è anche l’unico illuminato dal sole.
Ripenso alla conversazione con Franco e al racconto del travagliato percorso compiuto per dare alla nostra provincia un’attrazione turistica da record: il volo dell’angelo, qui chiamato “Flying in the Sky o “volo del falco pellegrino”. Un cavo d’acciaio in discesa, sospeso tra due piloni a cui le persone vengono agganciate in posizione orizzontale e lasciate scivolare giù, per realizzare uno dei sogni più antichi dell’uomo: volare. Il record di questa zipline risiede nelle sue caratteristiche tecniche: 2.225 metri di lunghezza, un’altezza massima dal suolo di 310 metri e una velocità media di 110 km/h (con punta massima di 172 km/h).
Il sogno del volo
Franco, il sognatore e protagonista di questa storia, mi ha appena finito di dire che dal momento dell’idea alla realizzazione effettiva sono trascorsi sei anni. L’ispirazione è arrivata una domenica del 2008, mentre era a casa a guardare un programma tv; la Rai quel giorno trasmetteva da Pietrapertosa, in Basilicata, dove era stata installata questa nuova attrazione turistica, “Il volo dell’angelo”.
«Vedendo le caratteristiche di quel posto», mi dice Franco, «e assomigliandole molto a quelle di Rocca Massima, ho pensato, perché no? Proviamoci anche qui».
Il giorno dopo, arrivato in Comune l’idea viene proposta al Sindaco, che pensando alle casse cittadine di un paesino come Rocca Massima, considera quell’opera insostenibile economicamente. Franco però ha la testa dura e vuole almeno provarci, così contatta la società francese che produce questi cavi d’acciaio e prende un appuntamento.
Arrivato a Rocca Massima, il tecnico francese viene portato sul posto deputato, chiamato dai rocchigiani “jo pizzo della Madonnella” (per via di una chiesetta posta nel largo del belvedere); il responsabile dell’azienda, rimane meravigliato dal panorama a 360 gradi che si apre davanti ai suoi occhi, che va dal litorale pontino alle montagne abruzzesi. Il posto è perfetto, la teleferica si può fare, ma c’è di più, «Questa sarà la zipline più lunga del mondo», confessa il progettista francese. Dopo quelle parole, Franco non può più tirarsi indietro. «Che stiti a pensà de fa jecco?», chiede un anziano che prende il fresco su una panchina lì intorno; «Un ponte per Lariano!», scherza Franco, che da buon sognatore, tiene nascosti i propri progetti più segreti.
La realizzazione e lo sviluppo
Da lì in poi gli intoppi e i passi compiuti da questo progetto sono molti: l’assenza di finanziamenti pubblici per un attrattore turistico simile, la costituzione di una società privata per la realizzazione di questo impianto, le peripezie contro la burocrazia italiana. Una vera epopea contemporanea durata sei lunghi anni, in cui inutile dire, quasi nessuno credeva. Il 4 settembre del 2014 invece a “jo pizzo della Madonnella” ci sono quasi tutti i sindaci della provincia a inaugurare “Il volo del falco pellegrino”, la teleferica più lunga e veloce del mondo.
Questo volo per Rocca Massima, più che di un falco è sembrato quello di una fenice, poiché ha permesso a pizzerie, ristoranti e bed&breakfast di riaprire o di fatto di aprire ex novo; ha permesso inoltre un impiego diretto di più di dieci persone impegnate in quest’attrattore turistico, che nel solo primo anno ha effettuato 15.000 voli e 25.000 presenze.
Il sogno con i piedi per terra
Mentre continuo a pensare alla grande forza che ha spinto Franco ad andare sempre avanti, sono arrivato a Rocca Massima. Imbraccio la macchinetta fotografica e mi avvio verso la terrazza della Madonnella; ho appena il tempo di scattare qualche foto dopo di che vengo subito avvicinato da Annamaria, un’altra rocchigiana.
«Abbiamo messo a posto il sentiero che porta giù, fino all’arrivo del volo», «C’è un sentiero?» chiedo io curioso, «Certo! Andiamo, ti faccio vedere!». Annamaria Angiello è una donna piena di spirito, che difficilmente si lascia abbattere dalle avversità, neppure da quelle metereologiche. Iniziamo a scendere, mentre le nuvole si addensano sopra le nostre teste.
«Ti porto alla còna», mi dice, che altro non è che un rifugio fatto dai pastori e dai viandanti che usufruivano delle mulattiere e che serviva per riposarsi o per ripararsi dalle intemperie lungo il cammino.
Nello scendere ho la sensazione che oggi la còna toccherà utilizzarla anche a noi, ma proseguiamo. Durante il sentiero mi parla dei progetti per rilanciare e far rinascere gli antichi tratturi e le mulattiere che corrono tutto intorno al paese; un modo per riscoprire le strade che percorrevano i nostri nonni, quando l’asfalto c’era solo nelle grandi città e le automobili erano i muli. Arrivati alla còna, mi sorprende ancora, «Qui, abbiamo messo il libro di Daniele Nardi, l’alpinista di Sezze morto poco tempo fa, così chiunque voglia, può venire qui e davanti a questo meraviglioso paesaggio, leggere le sue parole».
Sognatori, persone che non riescono a restare comode, sempre con le idee in movimento, questo mi viene in mente pensando a Franco e a Annamaria, che hanno dato e continuano a dare opportunità di rinascita a Rocca Massima, credendo, sviluppando e valorizzando al massimo il nostro territorio e le sue peculiarità.
Nota di fondo: l’uomo moderno – ovvero il sottoscritto -, dopo aver scattato qualche foto del paesaggio mozzafiato dalla còna, ha provato a battere sul tempo la pioggia, quando natura e saggezza avrebbero consigliato di rimanere nel rifugio; bene, i miei abiti bagnati al rientro in macchina danno ragione ai vecchi viandanti.