Don Aniello Manganiello, la camorra si vince accogliendo

Don Aniello Manganiello, la camorra si vince accogliendo

9 Maggio 2019 0 Di Luca Cianfoni

Don Aniello Manganiello, classe 1953, è un parroco noto per la sua lotta contro la camorra. La sera dell’8 maggio era a Cisterna di Latina, nella parrocchia di San Valentino, a testimoniare il proprio impegno contro la malavita organizzata .

Don-Aniello-Manganiello

Don Aniello Manganiello durante l’incontro ieri a Cisterna di Latina.

“Non ci volevo andare a Scampia, volevo restare a Prati, a Roma, dove studiavo; poi però ci sono rimasto 16 anni, fino al 2010 e ora torno sempre nella mia vecchia parrocchia a parlare con i miei ragazzi”.

Li chiama ancora i suoi ragazzi Don Aniello Manganiello. Parla dei pregiudizi che aveva prima di arrivare nella parrocchia di Santa Maria della Provvidenza a Scampia. I pregiudizi che anche noi, inconsciamente abbiamo, quando parliamo dei drogati, dei delinquenti, dei mafiosi, degli emarginati insomma. Di loro Don Aniello si è occupato dal 1994 al 2010 in uno dei territori più difficili di tutta Italia.

L’arrivo di Don Aniello Manganiello a Scampia

Il pregiudizio accolse anche lui appena arrivato a Scampia:

Gli abitanti del quartiere mi scambiarono per un tossicodipendente: barba nera, sandali, jeans, capelli lunghi e zainetto sulle spalle.

L’abito purtroppo fa ancora il monaco. Vivendo però quel territorio, don Aniello I suoi pregiudizi li ha “bonificati”, dice lui, abbassando il muro perimetrale della parrocchia che i suoi confratelli anni prima avevano deciso di alzare per difendersi dai ladri. Una pazzia ci verrebbe da dire in un territorio del genere; invece «fu un gesto molto apprezzato», confessa il prete, «perché non si trattava solo di una barriera fisica, ma anche di una barriera interna alle persone».

“Aprite anzi spalancate le porte a Cristo”

Don Aniello Manganiello invece, negli anni passati a Napoli ha aperto le porte della parrocchia e dell’oratorio a tutti, figli dei boss compresi, perché «anche loro hanno il diritto di avere un’opportunità di cambiare la loro vita. Non è vero che se nasci tondo non puoi morire quadrato, non si deve e non si può sottovalutare la conversione». E allora a me vengono in mente i versi di un cantautore che nel dare voce agli emarginati ha fatto la sua missione su questa terra:

“Ma se penserai, se giudicherai da buon borghese

Li condannerai a cinquemila anni, più le spese”

De André, La città vecchia

Perché se nasci a Scampia, secondo il pensiero comune, hai la vita segnata, non c’è niente da fare. Invece no. Non è così per Don Aniello Manganiello, che sfidando l’eresia ha fatto del calcio una catechesi, togliendo dalla strada e dalle braccia della mafia, centinaia di ragazzi.

La conversione è un fatto anche comunitario

Come Davide Cerullo, che prima di avere la propria conversione e conoscere Don Aniello, guadagnava 1 milione di lire al giorno grazie allo spaccio di stupefacenti.

“La conversione – racconta la voce rauca del sacerdote – non è solo un fatto individuale, ma collettivo. Il convertito deve avere una comunità che lo faccia sentire accolto, che creda in lui, che si fidi che la sua vita è cambiata veramente”.

Don Aniello Manganiello

Don Aniello mentre legge insieme a un ragazzo la lettera di Davide Cerullo.

Il suo racconto continua e una frase di Martin Luther King coglie la mia attenzione e mi tiene sveglio tutta la notte: “Ciò che rovina il mondo non sono i cattivi, ma il silenzio dei buoni”. La rivoluzione culturale che deve partire anche dalle nostre zone – ormai non più nuovo terreno di infiltrazioni mafiose – è quello di raccontare la malavita, di non rimanere arroccati nelle nostre posizioni, anestetizzati dal nostro benessere.

 

Coltivando tranquilla

l’orribile varietà

delle proprie superbie

la maggioranza sta

come un’anestesia

De André, Smisurata preghiera

La mafia è una minoranza

La mafia è una minoranza, è innegabile e tutti noi abbiamo il dovere di non farla divenire maggioranza. Non è una minoranze da tutelare come quelle etniche, culturali o religiose, che molte volte vengono offese (si guardi all’ultimo episodio di violenza accaduto a Roma, Casal bruciato, per l’assegnazione di una casa popolare a una famiglia rom che ne aveva il diritto). La mafia è una minoranza da debellare, un cancro da isolare, per non far si che le sue metastasi si diffondano tra i nostri amici, tra le persone che conosciamo, fino ai vertici dello Stato.

Non serve l’esercito

In questi giorni si fa un gran discutere di leggi sulla sicurezza e sulla legittima difesa, soprattutto in seguito a quanto accaduto a Napoli alla piccola Noemi. La soluzione che si trova immediatamente (come se la mafia fosse un problema semplice da risolvere con soluzioni semplici) è quella di incrementare la presenza dell’esercito, delle forze dell’ordine. Contenere, mostrare i muscoli. Se gli emarginati restano lasciati ai margini delle nostre città, isolati, circondati da forze dell’ordine che non difendono, ma contengono la violenza all’interno dei ghetti come Scampia, non avremo altro che un incremento della malavita e una inevitabile e inesorabile guerra tra poveri. A quegli emarginati bisogna dare voce, la possibilità di raccontarsi, di sfogare la loro rabbia.

Non anestetizziamoci

Lo sforzo quindi, invita Don Aniello Manganiello, deve essere quello di accogliere, ad avere sempre un occhio di riguardo per gli ultimi, a non sentirci parte di quei buoni che non parlano, di non essere quella parte di società anestetizzata, ma di essere coloro che capiscono, che comprendono in profondità tutti i punti di vista e che non ragionano mai con il pregiudizio generale.

Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo,

Se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo

De André, La città vecchia.