Foro Portoghesi e l’idea incompiuta della Latina riformista

Foro Portoghesi e l’idea incompiuta della Latina riformista

28 Maggio 2019 0 Di Lidano Grassucci

Esiste un’altra Latina tra quella che “fonda” la città e ammira, genuflessa, i dittatori e quella delle villette di una protoborghesia democristiana mai maturata, eternamente prossima ma senza prossimo? Esiste una idea di Latina città italiana normale? Normale dentro la meraviglia della storia di questo paese che è nelle città dove a strati trovi le storie e non ti appelli ad un camion sepolto in una piazza, non sfasciacarrozze ma comunità. Tutti hanno storie che si fondono e confondono, noi un incidente stradale.

Esiste una Latina democratica? Esiste una Latina che supera l’idea di essere enclave di “militi” in terra di “butteri”, come disegna Cambellotti sull’eternit della sala del Consiglio provinciale?
Forse non è mai esistita ma è stata almeno pensata, perché c’è stata a Latina una stagione riformista che ha cercato di non leggere, da sinistra, la città come corpo estraneo, ma di innestarla nella sua storia che è quella che non si fonda per “provvidenza” ma che incontra, e vive, degli uomini e delle donne e nelle storie che qui hanno sperato.

Dalla Maga Circe, alla Mater Matuta, alla storia anarchica degli infidi lepini che sono la radice di qui.  Pierluigi Cervellati fece un piano regolatore in servizio “nostalgico” permanente effettivo (da buon comunista mise la foglia di fico al revisionisno urbano intorno all’invenzione di una LIttoria mai esistita)  a “servizio” della rivincita impossibile di Finestra. Aimone Finestra simbolo di una destra impegnata piu’ a riscrivere ispirandosi a Tolkien che a ripensare pensando alla distanza con la Destra europea democratica. Ne diede, però Cervellati, una definizione efficace: la città delle acque. Ecco quelle acque, qui ferme, quelle acque qui da sollevare per buttarle a mare, nascono nei Lepini, sorgono ai piedi dei Lepini, danno da bere dai Lepini. Anche l’acqua ha “radici”.
La città riformista era, invece, l’idea di un cuore produttivo nel futuro e un centro storico nell’entroterra, dentro il percorso naturale dell’acqua e l’idea “socialista” di includere e non di escludere.

E il perno era una piazza, quella pensata da Portoghesi, che era la prima piazza di Latina ideata con la gente che viveva la quotidianità del mercato, della chiacchiera, dello scambio e non l’appuntamento con la Storia delle adunate. Foro Portoghesi non era un progetto urbano, ma era l’emergere architettonico di una idea politica, nel senso di governo della città, democratica, nel senso con il popolo dentro. Era la parte emersa di un confronto che aveva radici nel dibattito di allora in cui le idee dell’umanesimo socialista si incontravano con le prassi e le forme liberali. Liberando, i liberali, dalla “indifferenza sociale”, e i socialisti dalla “giustizia dottrinaria”. E quel confronto politico, che poi si fa urbano, aveva come perno l’esperienza dei socialisti di Latina ed in particolar modo il gruppo del “club Turati”. Un confronto ricco in una ipotesi di essere nel tempo presente di un confronto che faceva di Latina una città italiana. Una ipotesi in dialettico confronto con l’idea di Latina europea di Corona che era l’altra risposta “democratica” alla maturazione di una città.
Una idea interrotta dalle vicende legate degli anni ’90, una vicenda dimenticata per comodità. Meglio pensare ad isole, a uomini massa per adunate, che a intrecci di fori, piazze, radici, mercati e di confrontarsi con una storia difficile. E forse in questa mancanza di una piazza italiana si spiega la tendenza della città a stare sempre con chi vince, ad opporsi mai.