Il 2 giugno nelle parole di Piero Calamandrei

Il 2 giugno nelle parole di Piero Calamandrei

2 Giugno 2019 0 Di Fatto a Latina

Il 2 giugno 1946 si votò il referendum per scegliere se l’Italia dovesse rimanere una monarchia oppure diventare una repubblica. Vince la Repubblica. I suoi fondamenti sono nella Costituzione del 1948.

Ma fin dalla sua nascita quei principi furono disattesi, a volte non applicati nel corso degli anni. Così molte sono state le denunce, molti i gridi d’allarme, uno dei più belli sicuramente fu il discorso tenuto da Piero Calamandrei, politico, avvocato e accademico italiano, nonché uno dei fondatori del Partito d’Azione. Una piccola traccia di speranza per i giovani e le generazioni future che devono capire ed agire per costruire una repubblica da sempre frammentaria.

L’art.34 dice: “I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra costituzione c’è un articolo che è il più importante di tutta la costituzione, il più impegnativo per noi che come giovani abbiamo l’avvenire davanti a noi. Dice così:

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli economici e sociali, che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Dunque è compito nostro, di tutti, rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. primo – “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” – corrisponderà alla realtà.

Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo. Non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica. Una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente finta, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente sono in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo. In cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini sono messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società!

Guerra del passato, Gruppo di soldati

 

“E allora voi capite da questo che la nostra costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta davanti! È stato detto giustamente che le costituzioni sono anche delle polemiche. Questa polemica, di solito è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime.”

Se voi leggete la parte della costituzione che si riferisce ai rapporti civili politici, ai diritti di libertà, sentirete la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica. Quando tutte queste libertà, che oggi sono elencate e riaffermate erano disconosciute. Ma polemica contro il passato.

Però c’è una parte della nostra costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società presente. Perché quando l’art. 3 vi dice: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale il presente per non essere come il passato mettendo a disposizione dei cittadini italiani gli strumenti giusti.

Essa è una costituzione che mira alla trasformazione di questa società in cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà rese inutili dalle disuguaglianze economiche dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che se fosse potrebbe anche essa contribuire al progresso della società.

Ma Piero ci dice

“Però, vedete, la costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla costituzione è l’indifferenza alla politica. L’indifferentismo politico che è per i nuovi giovani una malattia dei giovani.”

Dalla seconda guerra mondiale alle votazioni

“La politica è una brutta cosa”, “che me ne importa della politica”

Questa è l’indifferenza alla politica. È così bello, è così comodo: la libertà c’è. Ci sono altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch’io! Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della generazione di Piero e di molti altri hanno sentito per vent’anni. E io auguro a noi, di non trovarci mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto dobbiamo riuscire a creare le condizioni perché questo senso di angoscia non lo si provi mai.

Ricordiamoci ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.

“La costituzione è l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo per uno va a fondo per tutti.

Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946, questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare dopo un periodo di orrori – il caos, la guerra civile, le lotte le guerre, gli incendi.

Ricordo queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità.

Questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, del nostro paese, della nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese. Ma quante donne felici di poter votare ho visto.”

Dobbiamo dare lo spirito! Dare la gioventù, farla vivere, sentirla come cosa nostra, metterci dentro il senso civico. Rendiamoci conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più. Siamo parte di un tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo.

C’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato.

 

Piero lo sa bene! E ci saluta dicendo:

“Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in questi articoli della costituzione.  E dietro questi articoli si sentono delle voci lontane.”

Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro a ogni articolo di questa costituzione, giovani come noi, sono caduti combattendo. Fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze. Hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta.

“Questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andate in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione. Andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.”