L’oratorio Don Bosco e i ghiaccioli di sor Vincenzo

L’oratorio Don Bosco e i ghiaccioli di sor Vincenzo

18 Giugno 2019 1 Di Emilio Andreoli

L’oratorio Don Bosco di Latina era il luogo più frequentato da noi bambini negli anni ’60. Partite di calcio che duravano ore e ore fino a che, esausti, non andavamo al baretto a rinfrescarci con un bicchiere di spuma o gassosa, oppure con un ghiacciolo. Sapori ormai antichi, ma che conservo gelosamente nella memoria.

Sor Vincenzo era il sagrestano che gestiva l’oratorio salesiano “Don Bosco“, della chiesa San Marco. Nella mia mente, la sua immagine si è un po’ sbiadita dal tempo. Lo ricordo alto, magro e un po’ pelato, ma il suo volto non riesco ricordarlo bene. Era di origine modenese, un tipo serio che faceva un po’ tutto. Il parroco invece, era don Russo, un salesiano che si faceva rispettare. Alle cinque del pomeriggio suonava il fischietto e tutti dovevamo correre ad ascoltare la sua predica. Appena finita si tornava a giocare, chi a pallone, chi a basket, chi a ping pong. Io dopo aver giocato a pallone, su un campetto di pozzolana, andavo sempre al baretto:

“Sorvince’, che mi dai un ghiacciolo all’amarena?

“Tieni, sono quaranta lire”

Poi appena cominciava a far buio me ne tornavo a casa da solo, mica mi venivano a prendere. Se chiudo gli occhi avverto ancora il sapore di quel ghiacciolo, come anche quello della spuma o della gassosa, sapori che oggi non riesco più a trovare neanche nelle ciliegie o nelle fragole. Sembra tutto finto, tutto dello stesso sapore.

Nell’oratorio c’era anche il cinema che tutti chiamavamo il cinema dei preti, in realtà si chiamava “Moderno” ed era anche teatro. La domenica, dopo la partita del Latina, che per vederla scavalcavamo il muro dello stadio, andavamo lì. Generalmente proiettavano film per ragazzini o film che trattavano temi religiosi tipo Mosè e i dieci comandamenti. All’ingresso c’era il bruscolinaro, a volte Franco e a volte il mitico Salvatore, un pacchetto di bruscolini costava 10 lire. Oppure alla cassa vendevano il castagnaccio, che era polvere di castagne, si succhiava con una cannuccia. La prima volta che lo comprai e diedi la prima succhiata, rimasi quasi strozzato.

Il tempo libero di noi ragazzini di allora era quello, lo passavamo tutto al Don Bosco, e i nostri genitori erano tranquilli perché eravamo in un posto sicuro. Per chi faceva parte dei lupetti come me, la domenica si poteva anche rimanere a pranzo e la sera, nonostante tutte quelle ore trascorse lì, non avevamo nessuna voglia di tornare a casa, pensando già al giorno dopo da passare a scuola. Poi arrivava l’urlo di don Russo o di sor Vincenzo, e tutti di corsa a casa.

Sapori perduti

Oggi il tempo libero è quasi utopia… in un momento di pausa vado al bar, il caldo di questi giorni è opprimente, e mi viene voglia di un ghiacciolo. Al primo bar mi dicono che non li vendono più. Giro l’angolo e provo in un altro, e niente, però non demordo. Continuo la ricerca, ma al quinto mi arrendo.

Che fine hanno fatto i ghiaccioli in questa città? Mi domando sconsolato, con l’arsura che mi prende la gola. Resta un mistero, ma resta anche un ricordo indelebile, i ghiaccioli eccezionali di sor Vincenzo e quel sapore perduto che era la mia fanciullezza.