Storie pontine, storie setine: quando Gino vide il mare

Storie pontine, storie setine: quando Gino vide il mare

24 Giugno 2019 0 Di Lidano Grassucci

La prima volta che vide il mare rimase muto per un paio di ore.
Cercava di capire come poteva il cielo reggersi con quel filo sottile che vedeva in fondo alla scena.
Veniva da un mondo che aveva un paio di chilometri di perimetro. Gino li dentro aveva tutto e non gli serviva altro.
E’ vero, aveva fatto il militare in artiglieria, ma anche in quel caso la sorte non gli aveva portato in dote la visione del mare ed era stata l’unica volta che gli era toccato di star lontano da casa, per la Patria e non era tempo di guerra.
Oggi prendi la macchina, fai un po’ di fila ed ecco il mare. Torni indietro, qualche semaforo e stai al sicuro di casa. Il mare fa la differenza: quelli che lo conoscono si aprono al mondo, quelli che lo temono fanno città fortificate perché, prima o poi, verrà qualcuno dall’acqua a far male.
Lui non aveva mai visto il mare e anche questa volta, l’unica volta, che lo vedeva non si permise di accarezzarlo. Gino mi aveva chiesto, anni prima: ma è vero che al mare c’è tanta acqua, come più di mille barili?”.
Il mare, se ti metti di sera prima del tramonto a guardare verso il senso del tramontare dalle mie colline si vede. Certo non ci arrivi per via diretta ma si intuisce deducendo che quei sassi che si perdono nel niente hanno in mezzo… il mare.
Gino aveva gli occhi sgranati davanti al mare, non che non conoscesse l’acqua, tanta acqua, ma quella sua di acqua stava ferma, quella del mare non sta ferma mai.
Lo accompagnai al mare in auto per una specie di dovere civile, perché la vita non è solo pane e vino. C’è anche lo stupore. L’ho fatto anche perché erano tante le persone che avevano popolato la mia crescita e non avevano visto il mare.
E’ rimasto in silenzio per due ore, poi senza parlare mi ha fatto capire che era abbastanza e voleva tornare al sicuro, a casa sua.
L’ho riaccompagnato e lui non ha parlato per tutto il viaggio. Più che del mare si interessava dell’auto: “va lesta” commentò dopo aver valutato la velocità non dal contachilometri ma dal tempo che impiegavano gli alberi a incontrare la vettura e a salutarla.
Guardava fuori dal finestrino, era giugno, la pianura comincia a offendersi con il sole: i verdi di marzo e di aprile cominciano ad essere uccisi dal giallo, secca il grano e il granturco si fa morto, l’erba diventa fieno.
Quando ero ragazzo riuscivo a capire le stagioni dagli odori, dall’erba. Ora sono condizionato da pompe di calore e non comprendo più neanche me.
Correva l’auto e Gino continuava a tacere, non si chiedeva neanche perché mi ero offerto per questo viaggio, neanche gli interessava.
Lui aveva dato da bere alla mia famiglia da generazioni. Per un accidenti, che non so, una bolla d’acqua era venuta su dal ventre della terra, della sua terra. Usciva acqua fresca e limpidissima, prepotente. L’ultima volta che ci sono andato andava, invece, piano aveva perso la forza ma non il suo orgoglio: come un vecchio motore che non dimenticava di aver corso le mille miglia ma aveva consapevolezza che sarebbe rimasto fermo di li a poco.
Quell’acqua aveva un piccolo difetto, aveva un lieve sapore di zolfo.
Quando arrivavano le signore della città a cercare esotici prodotti e umane esoticità con i loro uomini in tiro con abiti da campagna ma mai campagnoli, che parevano suv fighetti davanti alla Fiat Campagnola, al primo sorso storcevano il naso.
L’acqua zolfa bisogna saperla bere, servono peli sullo stomaco, devi vincere l’odore di uovo marcio che passa dall’acqua all’aria, dovi vincere la paura di quell’acqua che forse era passata per l’inferno.
Gino era intriso di quell’odore, sapeva di zolfo. Beveva e mangiava quell’acqua. Sì mangiava: ogni mattina metteva pane raffermo sulla bolla, l’acqua impregnava il pane , poi un po’ di sale, pomodori e cipolla e cominciava a mangiare. Solo il sale non era di qui.
Le signore ripartivano con orrido ricordo di un esotico che non si aspettavano, non sospettavano e lui, salutando, offriva pane “zolfo”, cipolla e pomodoro.
Non era sposato Gino, era signorino come si dice dalle mie parti e quelle signore destavano in lui passioni importanti quanto brevissime, sognate e mai consumate. Delle più avvenenti teneva il ricordo per un paio di giorni, per le altre… alle cinque del pomeriggio erano dimenticate.
Anche quel giorno, che aveva visto il mare, alle cinque prese il suo Morini 50 monocilindrico e andò verso casa. Sapevamo che non ci saremmo più rivisti, il mondo che mi aveva legato a lui era finito, quella terra che aveva cresciuto i miei per generazioni non era più mia. Fece un accenno di saluto, come faceva quando ci vedevamo tutti i giorni, aggiunse solo “Lì, tenivi ragione, agli maro ci stao piu’ de mille barigli d’acqua”.
So che fece un incidente con il suo Morini e alla sorgente di acqua d’inferno non è più andato.
Le signore eleganti ora vanno al supermercato, l’acqua zolfa arriva da Sirmione e… e Gino vide il mare