Clarisse e pastarelle, la dolcezza di ricordare Sezze

Clarisse e pastarelle, la dolcezza di ricordare Sezze

4 Agosto 2019 1 Di Lidano Grassucci

“Io ne ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire”.

Roy Batty, replicante di  Blade Runner

 

Vedete ci sono storie che ti vengono incontro, riemergono come fanno certi tronchi che vanno in fondo al mare, stanno li’ soli in compagnia dei pesci, con la sabbia che li fa prigionieri poi il mare grosso sgrossa quella “gabbia” e “scappano” su, e quanto arrivano all’aria fanno un salto in alto a prendere tutta l’aria possibile, poi affondano un poco e iniziano a galleggiare e si posano dopo un lungo planare sulla spiaggia. Alcune memorie sono così. Ho scritto per accidente complice la sorella del mio compagno di scuola Antonio Mazzocchi (Moscona) che mi raccontava di avere la ricetta segreta delle suore per fare le pastarelle di visciola e di mandorla. “Ma dove la conservi?” “In testa”.

In testa, ma esiste una testa collettiva dove conserviamo le ricette della vita? Non lo so, non me lo ero mai chiesto poi a valanga il salto dell’albero consumato da quel mare che è il tempo sono venuti ricordi testimonianze, meglio presenze di suore che ora non ci sono più, come forse sono perdute le “intese”. In queste testimonianze c’è un filo, un filo che mi ha sorpreso, c’è un amore collettivo in un momento di odio invasivo. Personalmente, sapete, non amo preti e suore, ma la radice sta proprio in queste storie in cui le vite non erano avvitate in case chiuse con l’aria condizionata, ma in città aperta con il sole. Mi scuserete se ho usato i vostri ricordi, ma mi hanno i miei ricordi. In un passaggio Filomena Danieli spiega come le suore riparavano gli strappi degli abiti, rifacendo la trama e l’ordito con la stoffa degli orli: loro non rammendavano, sfilavano il tessuto in posti dove potevano ( tipo l’orlo).e ritessevano proprio il pezzo danneggiato, per cui non si conosceva niente. L’ultima volta portai a Latina ( dove si erano trasferite) un paio di pantaloni di un vestito da uomo, che incidentalmente si era sgarrato come sempre fecero un lavoro perfetto. Mia madre era sarta, morì d’improvviso e io avevo una giacca bellissima ma strappata, lei avrebbe fatto come le suore. Si offrì mia zia di fare “l’intervento”, ma venne fuori una ferita evidente una cicatrice che rendeva inutilizzabile la mia giacca, lì capii che ero rimasto solo. I ricordi sono come le ciliegie una ne tira un’altra all’infinito.

Inizio con una poesia di dialetto di Franco Abbenda, è delicata, le monache si fanno “monachelle”, si deve convincere lui stesso che quello che racconterà non era sogno. Per gli italofoni la poesia, se non leggete di corsa ma seguite le parole suona così tanto che si capisce

Rannaccio

N’ci sto più ma n’è ΄nu sogno,

addommànna s’era vero…

Monachelle di clausura

prega e cuci a Santa Chiara.

 

Solo una, la più vecchia,

la ΄ncontravi pe’ la via.

Tutte l’atre, zèche e grosse,

sempre chiuse allòco dentro.

 

Ci iavàmo da mammòcci

co’ le ossa di precòca.

Bussavamo, aspettavamo
l’ostie rotte e coravamo.

 

Le sentivi agli Sepolcri

co’ pianòla e voce fioca,

adoravano ΄stasiate
i’ Santo Sacramento.

 

Ago e filo da maestre,

si stracciava i’ lenzólo ?
«Tocca, cùri dalle suore,
΄nu rannaccio e arive’ nòvo».

Ora vi metto in fila i ricordi e le ricordanti, una ad una, per la libertà di ciascuna nel suo rammentare.

Mara Accapezzato:  non era da temere la.’ruota’. Io non la temevo; forse perché raccomandata la badessa era una zia,cugina di mia madre; forse perché vicine di casa; forse perché ci regalavano le.ostie!!!!!!

Andavo a prender le ostie per giocare per mangiarle. Per averle noi bambini di tutta Sezze raccoglievamo i noccioli ( x noi ossi) delle albicocche o pesche andavamo al monastero (il portone sempre aperto) bussavamo alla ruota salutavamo senza vederla la suora portinaia, la ruota per magia si girava mettevamo i noccioli dentro. La ruota si girava verso la suora, poi si rigirava verso di noi e…le ostie erano lì x noi che festa, che magia!!!
Io e i.miei fratelli le potevamo ricevere anche senza portare i noccioli la parola magica era sono la figlia di Sistina

Ada Di Veroli: Mia nonna aveva la possibilità di andare oltre quella ruota, per portare i tessuti alle suore; io conservo ancora gelosamente lenzuola e asciugamani di lino ricamati con gran cura dalle Clarisse

Franca Benvenuti: Mia madre una volta ha portato qualcosa da rammendare erano Bravissime ho sempre pensato a loro con tristezza perché pensavo che non potevamo uscire!!!

Filomena Danieli:  Ooohhh, che ricordi hai tirato fuoriii:.le moniche di clausura, le moniche vecchie. Perché le moniche nove (nuove) erano quelle del Bambin Gesù (Conservatorio Corradini). Tutti i bambini di Sezze, me compresa, hanno bussato a quella “ruota” da bambini e loro ci davano cartate di ritagli di ostie in cambio di noccioli di albicocche e di pesche, non so come potessero utilizzarli, ma era così. Poi da grande ho avuto modo di essere ricevuta in parlatorio, accompagnata dalla mia futura suocera, loro benefattrice (vivevano di carità)e mi dissero che mi conoscevano (sapevano tutto di me, le loro finestre si affacciavano su via Corradini, sul Mondone e io abitavo lì) quindi mi avevano vista crescere e dissero a mia suocera che erano contente, perché il figlio aveva trovata una brava ragazza. Quell’impegno di far loro visita una volta al mese rimase poi a me fino a quando non furono mandate via dal monastero, ma questa è un’altra storia

Lucia Rosini Spero che tu possa pubblicare una raccolta di questi bei racconti. Io sono arrivata a Sezze nel 1989 per scavare la grotta Vittorio Vecchi e delle clarisse che erano andate via da poco, sentivo parlare proprio a proposito dei dolci.

La foto me l’ha mandata Ada Di Veroli ed è un lavoro fatto dalle clarisse di Sezze, una raffinatezza unica, che lei conserva intatte