Storia d’agosto: il primo ferragosto da ricchi
14 Agosto 2019Il Ferragosto è roba ferma per i contadini, come fosse la domenica. Una domenica calda, ma miglioravamo tutti e “bisognava” andare in gita, era un dovere, una conquista, la prova che di quella “bomba d’acqua” di ricchezza che era arrivata fin qui da noi, un poco c’eravamo bagnati. La logistica fu complicata, giorni e giorni di trattative. Papà ordinò dalla collega di Roccamassima, Giorgia, con marito pastore l’abbacchio, poi per le salsicce c’era il fornitore setino, per le lasagne mamma e zia. Poi ci fu un giorno intero impegnato per il cocomero, e anche qui dovevi seguire la moda i cocomeri dovevano essere “charleston”. Quelli lunghi e “mimetici” alla buccia, dolci da ricercare. Mio padre e zio Benito sulla scelta quasi litigarono per via che ciascuno si diceva più esperto dell’altro, fino a che papà si impose “te dico accomme se fao le porte? Allora i te dico qual è i cocomero bono”. Più boria che competenza, naturalmente. Poi le sedute: tavolo retrattile di legno, sedie uguali e…. Le auto erano 2 la Fiat 1100 D di papà e la Renault 6 di zio. Due vetture l’una capoculo dell’altra motore davanti e trazione posteriore la Fiat, motore dietro e niente davanti la Renault. Tutto pronto, si partiva presto alle 6. Naturalmente mamma non era pronta e le sei si fecero le 7, le 8, e pure le 8 e mezza. Papà imprecava, da poco avevamo il telefono e verso le 8.15 zia Adriana telefona “che fine avete fatto?”. Sta di fatto che la colonna di due vetture era pronta e si partiva in fila indiana. L’obiettivo era lontano, lontanissimo: Sabaudia (non ridete, non conta la distanza ma l’intenzione). Naturalmente bisognava fermarsi a mettere benzina, e quello davanti sceglieva la stazione di servizio. Ma la benzina si metteva non come ora, ma con esperienza: gli uomini scendevano e confabulavano tra uomini fatti con il benzinaio, seri come a Yalta facevano Stalin, Roosevelt e Churchill. Io mia sorella Sandra, Mamma, zia Adriana e i cugini Maurizio e Gianni guardavamo come si guarda la storia, attaccati ai vetri.
Finita la “conferenza” ecco la ripartenza, e siamo appena sulla Mediana a due chilometri dal punto di “concentramento”, ma è già passata una buona ora. Eccoci in fila e Sabaudia è lontana, semafori, file, macchine che sul tetto c’erano intere case. Le due vetture vanno come un fuso, anzi no alla Renault non funziona una freccia e comincia il tentativo di affiancamento, non c’erano i telefonini, per segnalare il guasto. All’altezza del bosco di Sabaudia la comunicazione va a buon fine, con zio Benito che risponde “domani vado dall’elettrauto”.
Entriamo nel bosco, dio mio che è grande, non finisce mai. Quanti alberi, che strada diritta, le macchine targate Roma hanno l’antipatia che sapete e superano con improbabili sdraie colorate e protogommoni che, essendo proto, sono gommoncini.
Finito il bosco si gira a sinistra e zio Benito 100 metri prima di Molella “individua” l’obiettivo giusto: il fosso tra la strada e il bosco, lì faremo il nostro primo ferragosto da boom economico. Si in un fosso, ma che lusso. Ci portano pure a vedere la chiesa di Molella. Dico “Papa che strana è tonda, a Sezze sono schiacciate”. Lascia correre, io provo a dirgli (ero un poco secchione) “papà, assomiglia alla Chiesa sull’autostrada che sta a Firenze“. Avevo letto su L’Espresso la storia dell’opera di Giovanni Michelucci. Ma meglio lassà perde (capite quanto ero antipatico). Ma non eravamo lì per la Chiesa, manco per il parco. Si era fatta una certa e iniziò il banchetto che pareva non finire mai, alle tre papà e zio si accampicarono un poco, mamma e zia “razzelarono”. Alle 16 in punto, prima dell’ondata dei romani, parte l’operazione rientro.
Insomma il ferragosto dei nuovi non poveri era come quello di quando si era poveri, solo che la tavola stava qualche chilometro più avanti e ci si andava in macchina.
Nella foto la chiesa di Molella a Sabaudia