Latina, quegli indiani che si stanno facendo come noi. La storia che non si racconta

Latina, quegli indiani che si stanno facendo come noi. La storia che non si racconta

25 Agosto 2019 0 Di Lidano Grassucci

Si sente il rumore di un albero che cade, meno si vede la foresta che cresce. Si parla tanto di immigrazione, meglio la politica ultimamente specula sulla immigrazione. Lancia allarme su invasioni o si fa così buona da essere stucchevole, i latini dicevano che la virtù sta nel mezzo.

Voglio parlarvi degli indiani, si di questa comunità “difficile” che manda avanti la nostra agricoltura (quella di cui siamo fieri quando parliamo del made in Latina, quelli che ora fanno anche la nostra sartoria e che ringraziamo quando ci rifanno l’orlo ma imprechiamo quando ci accorgiamo che sono tanti) , che è stata oggetto di analisi sociologiche da prime pagine e con ragioni. Ma mentre si seguivano le medesime ragioni gli uomini di quella comunità, in questa provincia a Latina,  che viaggiavano a piedi, sono passati alla bicicletta, al motorino, alla Uno usata ora alla Hyundai nuova.

Sono arrivate le famiglie e le donne indiane con i loro compagni e la carrozzina popolano i nostri vuoti centro storici, i nostri attristanti centri commerciale, ed i ragazzi si sono fatti grandi e vanno al liceo scientifico Grassi o al Majorana (del resto hanno inventato i numeri e pure lo zero, mica prosperi), e quando la scuola non c’è sciamano con gli altri in centro, in speranze italiane.

I ragazzi fanno la fila nei negozi di scarpe sportive, si affacciano in quelli di abbigliamento. Insomma si stanno integrando, stanno aggiungendo ai loro usi, quelli del paese che li ospita, con discrezione, con l’aggiungere anche a noi cose che non conoscevamo.

Ragazzi e ragazze indiane passeggiano ridendo dentro le nostre città, e spesso in gruppi che prescindono dalla nazionalità. Eppure non esiste pubblicistica di questo, perché raccontiamo sempre l’orrore, che c’è, ma rimuoviamo l’evoluzione che non c’è di meno. Se però parli di questo non vinci premi, serve il mostro mai le vite vere.

Nei racconti dimentichiamo sempre quando i poveri eravamo noi, nei racconti non vediamo i poveri che conquistano la loro dignità, per riscattarsi da umiliazioni che sanno, e che ci stanno.

Ma è bello vedere gente che viene qui a sperare quando noi non ne siamo più capaci, che pensano al meglio quando noi piangiamo il peggio.

Nella foto la Regina Vittoria e Abdul, l’indiano che l’ha “servita” con dedizione assoluta nell’ultima parte della vita, contro ipocrisie e preconcetti di corte e nel paese. Da questa storia è stato tratto il film “Vittoria e Abdul” di  Stephen Frears con Judi Dench e Ali Fazal,