I suicidi nel male di vivere che non “ascoltiamo”

I suicidi nel male di vivere che non “ascoltiamo”

30 Agosto 2019 0 Di Lidano Grassucci

Un uomo di Latina tenta di buttarsi nel Tevere, l’altro ieri, poi una ragazza tenta lo stesso sulla linea B della metro di Roma, è di Aprilia.

Sono tutti e due di questa terra che era la “nuova frontiera”, il luogo dove vieni a vivere nuove speranze, non a morire nelle tue sconfitte. Invece?

Una metamorfosi, come se una farfalla tornasse crisalide, come una rana si ritrovasse girino. Qui si veniva per scappare dal bisogno, ora si scappa per mancanza di speranze, e per quella mancanza morire.

Ma cosa è accaduto? Presi dell’entusiasmo non ci siamo parlati, non ci siamo messi d’accordo sulla condivisione della speranza, abbiamo corso ciascuno per se stesso, e abbiamo condiviso vittorie, mai accettato sconfitte.

I due tentati suicidi da cui parte questo articolo sono stati sventati, altre volte non è andata così. Dei suicidi non si parla mai, per rispetto forse, per pudore forse, per l’idea che dal male di vivere la maggioranza è esentata, ma non è mai così. Ogni gesto dovrebbe parlare agli altri, per essere evitato se è male, per capire comunque sia, non lasciato li come un fazzoletto usato.

C’è qui, qui da noi un mal di frontiera tradita? C’è qui una fragilità umana, per fragilità nella capacità di scambiarci la solidarietà che è condividere.

Ci sono suicidi e ci sono femminicidi, la solitudine e la famiglia urlano un malessere ma nessuno ascolta, e parliamo d’altro e non piangiamo di niente, di niente ridiamo.

Inumane monadi.

 

Foto: Frida Khalo