Sezze, il calascione di Zia Tommassina

Sezze, il calascione di Zia Tommassina

10 Febbraio 2020 0 Di Rita Berardi

Riceviamo e pubblichiamo un bellissimo ricordo di Rita Berardi su di un pezzo dai sapori setini

 

Se per gustare un bignè fino agli anni 80 dovevi aspettare I matrimoni e per gli altri dolci, Pasqua o Natale ecco che tra i reali dolci di Sezze si nascondeva un dolce particolare, il “calascìone”.

Fatto con la massa del pane stesa a sfoglia e ripiegata a fare un rettangolo con dentro ricotta, uovo, zucchero e cannela, cotto al forno a legna, a regola d’arte. Questo tesoro nascosto tra la pantarei dei dolci setini era pero’ quello che non si poteva mettere a bella esposizione nei tavoli con la tovaglia ricamata a intaglio e tantomeno al famoso “cabarè di paste’ che nel cellofan con tanto di fiocco e bomboniera, veniva dato al ricevimento detto “rinfresco” del lunedi, dopo l’evento.

Il calascione era per me il dolce popolare della fantasia, dell’amore e della pace, perchè per mangiarlo dovevo aspettare I tempi giusti che l’ingrediente d’eccellenza, la ricotta, quella buona, si incontrasse con la disponibilita’ di zia Tommassina.

La sorpresa era quindi legata non solo al tempo di arrivo della ricotta che dentro le antiche fuscelle di tralci di uva veniva portata dalla “pecorara “, cosidetta in dialetto, moglie del pastore della Semprevisa, ma soprattutto dalla disponibilità della zia Tommassina che per fare il ”calascione” se non aveva quella ricotta il giorno che lei dedicava alla sua preparazione, non lo faceva con una ricotta qualsiasi e quindi, si doveva aspettare la settimana successiva. Zia Tommassina, Tommasa Molinari classe del “26 era la figlia delle due guerre nata dopo la morte del padre, Tommaso Molinari causata da una ferita non curata subita durante la guerra del 15/18, sorella minore di mia nonna, per noi era la zia che oggi diremo “single”, ma a quei tempi si diceva ”zitella”, anche se, la zia Tommassina non era la classica zitella acida setina.Piccola, bassina come me,aveva sempre il sorriso in bocca e negli occhi.

Occhi azzurri mare in una cornice rosea nel viso e bionda nei capelli che nel mio pensiero e fantasia si è nutrita sempre la convinzione che questa sua caratteristica diremo “ariana” solo nei colori, l’abbia salvata dalle cattiverie durante la seconda guerra mondiale, quando volle andare, appena signorina piu’ che sedicenne, con mia nonna a Roma per il solito viaggio di contrabbando. Forse fu proprio la sua bellezza e dolcezza a salvarla dal rastrellamento che I tedeschi di consueto facevano sui treni, ma anche grazie alla sveltezza di mia nonna che vedendo una coppia distinta di coniugi e ben vestita chiese loro di prenderla e custodirla fino a che, la buona sorte, non li avrebbe fatti rincontrare all’appuntamento dato per sicurezza, ai buon signori.

E dopo che nonna abbandonato il bottino ai tedeschi si diede fuggiasca a piedi per I campi di Pomezia verso Roma riuscì ad arrivare in lacrime, in quel luogo che è stato sempre incontro e scambio di razze, culture e sapori, quale è ancora oggi Piazza Vittorio.Tra la gente in confusione e il cuore dolente nell’attendere che il buon Dio avesse messo la sua mano ecco apparire la signora che a braccio stringeva la mano di zia Tommassina gridando “signora, signora Vincenza eccoci, ecco la bambina” e nonna dal canto suo come era suo solito passare dalla tragedia alla comicita’ amara disse :”la bambina?ma a quéssà è ora de marito!”. Quel marito che la zia non volle mai per sistemarsi come era consuetudine, ma solo per amore e come non faceva il calascione se non aveva gli ingredienti freschi e buoni, cosi non volle nessuno altro che il ragazzo che aveva amato e che la famiglia non volle acconsentire alle nozze, come spesso accadeva a quei tempi.La zia anche dopo tanti anni amava spesso ricordare “o quglio o nisciùnô”. Fedele al suo innammoramento da ragazza resto’ quella bambina dolce con gli occhi azzurri che sorridevano, ma allo stesso tempo donna forte, indipendente che del suo lavoro da panettiera fece arte, amore e dolcezza che con maestria trasferiva nel suo celestiale calascione dorato al punto giusto, ben chiuso nella massa che come un pacchetto prezioso, custodiva il cuore della dolcezza, la ricotta e tutto, in bocca, faceva pensare che ogni volta si ripeteva il miracolo che la salvo’ dalla cattiveria dei soldati tedeschi