Intorno al coronavirus nella paura del male di vivere

Intorno al coronavirus nella paura del male di vivere

22 Febbraio 2020 0 Di Lidano Grassucci

Eccola la paura, eccola che torna cinica come se ne era andata non troppo tempo fa. Siamo figli dimentichi di quei contadini che “sono sempre pronti i guai a due passi da me” e mi verranno a trovare.

Intorno l’innocente vita che prendiamo a pretesto per la nostra illusione di immortalità. Nonna mi raccontava della spagnola e faceva l’elenco terreno di quelli che erano venuti a mancare, i rami della vita spezzati e prima a mancare erano venuti a meno i ragazzi per il Re, per l’Italia, poi toccò con la febbre a chi era rimasto a casa. Come se di terrore ce ne fosse stato per tutti.

Di lì a poco si ricomincia, altro sangue chiede un capo che porta la guerra in casa, e la polio? Sì, ragazzi a cui la vita era come se ci fosse una assurda ingiustizia. L’abbiamo scapata come generazione la polio, abbiamo anche scapato la guerra, per via della speranza che ha la distensione nella ragione della scienza. Un vaccino e il male si batte, il dialogo e l’altro non è poi così cattivo, ma simile a noi.

Ora torna, la paura torna:  la gente guarda la gente non come compagno di strada ma la sente come paura sulla sua strada e le ragioni si fanno confusioni, torna l’untore che ora chiamano il caso zero, tornano urlanti i chiamanti alla punizione di dio per i troppi viaggi, i troppi amori, i troppi incontri in aerei veloci, treni rapidi e l’aver fatto piccolo il mondo. Urlano “chiudiamoci in città, nelle mura”, ma il vento le ha saltate già e l’acqua pure.

La morte ci fa compagnia, ma non lo dice con rumore. Vado al cimitero, mio padre mi guarda e non so dirvi quanto mi manca, un fiore davanti la foto di mamma. Morti uno alla volta, e intorno sono nomi e nomi, vite e vite. Incontro la moglie di uno che è stato un pezzo del mio cammino, anche lui è da poco qui e mi viene la paura di restare sempre più solo. C’è gente nella cappella di un altro signore, sistemano fiori, lo conoscevo l’ho intervistato, ma ora sarebbe impossibile. Odora di fiori, le orchidee sono viola, quante sono… viola, a violare la dimenticanza a farla ricordo.

Sono sempre pronti i guai, la paura mi assale, sta morendo il mio mondo e un poco io con lui, ma non verrà con gran rumore, manco questa volta, come sempre uno alla volta. La paura non serve, non è utile, la nostalgia sì, fa viva gente che non è morta.

Prenderò il virus? Respiro perché non posso non respirare, il resto è un orologio enorme, e non regolo io la carica. La paura finirà in una storia di una nonna ad un nipote che poi ne scriverà per amore e nessun virus questo ucciderà.

 

Nella foto: L’apocalisse di Luca Signorelli ad Orvieto