Latina nelle storie maledette di questo virus: il prezzo già pagato

Latina nelle storie maledette di questo virus: il prezzo già pagato

22 Marzo 2020 0 Di Emilio Andreoli

Speravo nella primavera, ma devo ammettere che questo virus ha ormai imposto la sua dittatura, si è impadronito della nostra libertà, nessuno escluso. Addirittura il principe Alberto di Monaco è rimasto contagiato. Chi, della mia età, non avrebbe voluto essere lui, quando eravamo giovani? E ora? Per carità, meglio la salute. Già, mille volte meglio. Ma dobbiamo stare attenti e non abbassare la guardia, l’unica soluzione, e credo lo abbiamo capito tutti, è rinchiudersi in casa il più possibile per combattere questo nemico invisibile, e sperare in una nuova alba che lo schianterà. 

 

La scena più straziante che ho visto in questi giorni in televisione, è quella dei camion militari a Bergamo, che portano via i feretri delle vittime del serial killer coronavirus, che agisce senza pietà. È un fottuto bastardo che uccide soprattutto i nostri anziani, nonni che avrebbero potuto dare ancora molto alla nostra società. I nonni sono patrimonio dell’umanità, perché custodiscono le memorie storiche di ognuno di noi, e invece lui li fa morire in solitudine e nega anche l’ultimo saluto dei propri cari.

 

Ma non lo nega soltanto a chi muore sotto la sua mano, lo nega anche a chi perde un proprio caro per altre cause. Come è accaduto a uno dei miei più cari compagni di classe delle superiori due settimane fa. Roberto è stato colpito dalla tragedia più immane che possa accadere ad un uomo, la perdita di un figlio.

 

Alessandro Paulotto aveva ventitre anni, stava studiando all’università di Bologna nella facoltà di chimica farmaceutica. Il 28 febbraio avrebbe dovuto sostenere un esame, ma a causa del coronavirus salta tutto e allora decide di tornare per qualche giorno dai suoi genitori a borgo Grappa. Un po’ di giorni in tranquillità e con gli amici storici con cui passa le serate, ed è in una di queste che va incontro al suo destino maledetto.

Alessandro Paulotto

È in macchina con il suo più caro amico, ed è molto tardi, sono stati a cena a casa di un altro amico. Via Nascosa, di notte, è una strada molto stretta e insidiosa. Forse una disattenzione, forse un cane, un gatto o forse un colpo di sonno. La macchina si ribalta e Alessandro, che è sul lato passeggero, batte violentemente il capo e finisce lì i suoi sogni e la sua breve esistenza. Il suo amico, miracolosamente si salva.

 

Non posso non condividere l’immenso dolore di Roberto. Vado alla camera ardente anche se in televisione cominciano a sconsigliare di uscire e di evitare contatti con il prossimo, bisogna stare almeno a un metro di distanza. È domenica 8 marzo, arrivo e lo vedo lì, con la faccia segnata da un dolore atroce, che non si può descrivere. Lo abbraccio forte, sarebbe stato inumano non farlo. Piangiamo insieme e poi mi accompagna dentro:

Guarda quanto era bello”

Mi dice tra le lacrime. Non ha un segno, nessuna ferita, sembra che dorme. Ha un cappellino di lana sulla testa a nascondere l’ematoma dell’unica botta fatale. È vestito come tutti i ragazzi. Sì, era proprio un bel ragazzo con la sua barbetta acerba incolta.

Domani a che ora faranno il funerale?”

Domani alle quindici,  però Emi’ non venire perché mi ha detto il parroco di borgo Grappa, che probabilmente non potrà celebrare il funerale per la storia del virus, faranno una preghiera veloce al cimitero. Mi dispiace per gli amici, perché Alessandro era benvoluto da tutti. ha studiato a Latina, al liceo classico e conosceva tanti ragazzi”

Non so che dire per confortarlo, e il silenzio, a volte, è meglio di mille parole inutili.

 

Torno a casa con grande amarezza, pensando ad Alessandro che è stato ucciso indirettamente dal virus che si è alleato con il destino. È sera quando il premier Giuseppe Conte conferma le restrizioni in tutta Italia, e quindi si vietano anche i funerali. Alessandro sarà quindi  il primo ragazzo, a Latina, che non avrà il conforto dei suoi amici nell’ultimo abbraccio.

 

È notte fonda, mentre scrivo questo pezzo, il sonno sta quasi per vincere, e una mano sulla spalla mi fa trasalire, è mia figlia:

 

Papà, ma stai ancora scrivendo?” Io annuisco e le rispondo con un’altra domanda:

E tu come mai sveglia?

Avevo sete” Dopo aver bevuto si siede accanto a me:

Papà ma secondo te quando potrò uscire di nuovo? Degli altri giorni non mi importa, ma il sabato soffro, mi manca la passeggiata lungo il corso con le mie amiche

E come darle torto, è adolescente e immagino tutta la sua irrefrenabile voglia di vivere.

Papà, ma tu che facevi il sabato sera, quando eri ragazzo?”

Ricordo che a diciotto anni presi il foglio rosa, che attestava la frequenza alla scuola guida per la patente, non so se oggi esiste ancora, e il sabato sera “rubavo” la fiat cinquecento di mia mamma, che avevo scoperto che si apriva e accendeva con qualsiasi chiave, e poi uscivo con gli amici. Una pizza da Marzullo in via Isonzo, poi discoteca e la notte i cornetti dal mitico Cepollaro

Mi giro e lei mi dorme sulla spalla, glielo racconterò un’altra volta. L’abbraccio e spero che finisca presto questa clausura, non per me, ma per i ragazzi e per il loro diritto di vivere nuovamente la loro straordinaria normalità della giovinezza.

Foto di copertina: alba sul Circeo di Tiziano Torre